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Appello per una rete della sinistra di classe a Genova

La crisi del capitalismo diventa la crisi dei lavoratori, dei cittadini e delle classi subalterne
Vivamo in una crisi che si trascina ormai da anni e dalla quale non ci sono prospettive e vie di uscita a breve. Abbiamo davanti un intero periodo storico nel quale i cosiddetti sacrifici sembrano non avere fine. L’unica maniera che le classi dominanti conoscono per uscire dalla loro crisi è la compressione totale di salari, diritti, livelli di vita di fasce sempre più ampie di popolazione. Soppressione dei diritti, leggi sulla precarietà, devastazione dei territori, privatizzazioni, repressione dei movimenti sociali e oscuramento delle ragioni di chi lotta; questo sono le uniche parole d’ordine possibili per i padroni che controllano i partiti e i mezzi di informazione.
Di fronte a questo si stanno sviluppando lotte che cercano di opporsi a licenziamenti, ai tagli, alla dismissione del bene pubblico, alle conquiste dei territori per devastarli con opere inutili e dannose. Queste lotte spesso assumono un carattere radicale e, a seconda delle situazioni, riescono anche a ottenere alcune vittorie. Queste mobilitazioni esprimono una disponibilità alla lotta. È altrettanto evidente però che le lotte spesso rimangono all’interno dei “confini” del luogo di lavoro o del quartiere in cui si sviluppano. Questo è il primo limite col quale dobbiamo confrontarci per individuare le maniere migliori per poterle vincere. Noi crediamo che le lotte sulle singole situazioni possano unirsi e inquadrarsi (mantenendo tutta la loro valenza “specifica”) in un movimento generale. Pensiamo che esista un nemico comune. Coloro che propongono la TAV sono coloro che aboliscono i diritti dei lavoratori (articolo 18, ma non solo) e rappresentano gli stessi interessi di classe. Coloro che dicono di non avere i soldi per mantenere gli ospedali e tagliano i fondi alla scuola pubblica sono quelli che poi compattamente difendono gli acquisti degli F35 e la necessità di continuare le missioni militari all’estero. Chi, compattamente, si rifiuta di ripubblicizzare i servizi e i beni comuni appartiene alla stessa parte politica che trova i soldi per finanziare le scuole private. Chi applica con solerzia tutte le leggi sulla precarietà che i governi gli hanno gentilmente fornito è colui che trasferisce all’estero le proprie aziende dove le condizioni sono, per lui, ancora più allettanti.
Allora il primo punto è come generalizzare le lotte, ossia come inserire elementi comuni tra la singola lotta e le condizioni di vita generali. Esiste la necessità di allargare il conflitto sia dentro il luogo di lavoro sia fuori, nei territori e nei quartieri, dandogli un respiro internazionale. Vediamo in questo periodo una molteplicità di vertenze [trasporto pubblico, servizi sociali, sanità, previdenza] che però non trovano un terreno comune di mobilitazione. È di vitale importanza secondo noi riuscire a trovare le forme e i modi per fare questo passaggio. Questa necessità non è di carattere “ideologico” ma risponde a una situazione materiale precisa. È innegabile, soprattutto in questo periodo storico, che le diverse vertenze sono esplicitazioni particolari di cause che in fondo, e nemmeno troppo in fondo, sono comuni. Concentrando lo sguardo sul nostro territorio vediamo come la lotta contro il terzo valico e la lotta per gli ospedali rimandano entrambe direttamente alla questione del come si spendono i soldi pubblici e di chi ha in mano il potere per spenderli. Ci ripetono come un mantra che difficoltà di AMT e delle altre aziende pubbliche derivano da una mancanza di risorse pubbliche che però sono già stanziate per il Terzo Valico. Il denaro pubblico che non c’è per le manutenzioni delle strade o delle scuole però non manca quando si finanzia il trasferimento di Ericcson sulla collina di Erzelli trascurando il fatto che la multinazionale svedese lascia a casa centinaia di lavoratori.

L’intervento sul territorio e la generalizzazione delle rivendicazioni

AMT
Se la lotta dell’AMT rimane “isolata” all’interno dei confini aziendali è forte il rischio che, nella migliore delle ipotesi, questa possa concludersi con il “rinvio” del problema o con l’accettazione del male minore (qualche esubero in meno, salvataggio di alcune linee a discapito di altre, dilazione del problema proprietario, etc…), se riesce invece a connettersi con gli interessi materiali di fasce ampie della popolazione avrà invece rapporti di forza più favorevoli. Nel caso del trasporto pubblico sarebbe piuttosto semplice spostare il conflitto interno all’azienda sul territorio: i tagli di autisti, di linee, di km di percorrenza ricadono inevitabilmente su chi tutti i giorni usufruisce di treni, autobus, pullman. E’ altresì evidente che l’esperienza della privatizzazione dimostra che il risultato ottenuto è stato soltanto un peggioramento del servizio e un aumento del costo del biglietto: è necessario chiedere all’azienda le motivazioni degli aumenti tariffari e dare conto ai cittadini delle spese effettuate, dei ricavi e dei costi sostenuti. La lotta dei lavoratori contro i tagli deve quindi unirsi alla lotta dei cittadini per il servizio gratuito verso le fasce più deboli, per un incremento delle linee e della frequenza del servizio. Occorre lottare affinchè i soldi pubblici vengano impiegati per il prolungamento della metropolitana verso la Valbisagno e la Valpolcevera. L’azienda di trasporto pubblico deve essere finanziata non solo dagli utenti, ma da tutti i cittadini in maniera proporzionale al reddito. La gestione deve essere garantita dai lavoratori, dagli utenti, sottratta infine agli interessi privati e politici delle cricche di turno.

Fincantieri
Tutta la vertenza Fincantieri ha dimostrato che un conflitto operaio radicale può coinvolgere e trascinare un’intera collettività che si rispecchia in quella lotta. Il coinvolgimento dell’intera Sestri Ponente e in generale di tutta Genova, ha giocato un ruolo non secondario nel dare forza alla vertenza del cantiere. È interessante notare, en passant, come la classe operaia, a dispetto dei discorsi sulla sua estinzione, in alcuni casi rimane un soggetto che riesce a raccogliere attorno a se tutti gli strati sociali schiacciati dalla crisi. Gli adesivi sui Taxi di Genova che recitavano salviamo Fincantieri, la partecipazione degli studenti alla lotta operaia sono a dimostrazione di questo.

ILVA
Il destino dell’azienda genovese sembra legato al destino dell’ILVA di Taranto. E’ evidente come, in una situazione di estrema debolezza, i lavoratori spesso non riescano a staccare il proprio destino da quello di un padrone che avvelena e uccide. Le recenti vicende pongono in primo piano, come questione ineludibile, il tema della proprietà. Espropriare Riva e restituire ai lavoratori la fabbrica per decidere come e cosa produrre. Non ci basta la nazionalizzazione (magari pagando a Riva il costo degli impianti), vogliamo che il lavoro venga gestito direttamente dai lavoratori e dagli abitanti delle aree inquinate.

Ericsson
Più di 40 milioni di Euro sono la cifra complessiva del finanziamento pubblico riservato al trasferimento di Ericsson e altri soggetti sulla collina degli Erzelli. In questi ultimi anni il gruppo svedese ha lasciato a casa, solo a Genova, la metà dei suoi originari 1200 dipendenti. La collina degli Erzelli nel frattempo si è riempita di abitazioni residenziali. Ogni tentativo, fatto dai lavoratori, di introdurre clausole di salvaguardia occupazionale si è scontrato con la sordità delle istituzioni.

Diritto alla casa
A Genova il patrimonio sfitto è di circa 40 mila abitazioni. Metà di questo patrimonio è pubblico, una grande parte è di proprietà della Chiesa o di pochi multiproprietari. Questo patrimonio è totalmente negato ai proletari e ai lavoratori che, se ne hanno la possibilità, spendono metà del salario in affitti o mutui. Requisire questo patrimonio è una condizione necessaria per dare una casa a chi non ce l’ha e colpire duramente la speculazione sugli affitti. Il patrimonio pubblico deve essere rimesso a norma, tra l’altro fornendo lavoro utile e duraturo a quei lavoratori edili che sono tra le categorie più sfruttate e più colpite dalla crisi.

Contro il terzo valico
7 miliardi di euro per un’opera che devasterà una valle e che non serve a nessuno. Non serve al porto, non serve ad aumentare la mobilità, non serve allo sviluppo della città. Un’opera che causerà un disastro ambientale senza che un euro entri nelle tasche dei lavoratori. Senza entrare in quelle che possono costituire le alternative al progetto terzo valico, ci chiediamo solamente perchè tutto il sistema politico mediatico genovese sostenga quest’opera e perchè la politica e una parte del sindacato continuino a propagandare il terzo valico come l’unico modo per creare lavoro.

Carlo Felice
La vertenza infinita del Carlo Felice, la questione irrisolta dei precari della pubblica amministrazione (tra cui quella dei precari AMIU) ci parlano di una politica che gestisce il bene pubblico attraverso una logica totalmente privatistica. Il Consiglio di amministrazione del Carlo Felice non riesce minimamente a partorire un piano industriale ed artistico per garantire il futuro dei 300 addetti del teatro. Mentre i dirigenti continuano a non proporre nessun piano i lavoratori sono costretti ai contratti di solidarietà che, senza prospettiva a medio termine, rischiano di finire in licenziamenti e dismissioni. L’AMIU è stata recentemente condannata al risarcimento di tre lavoratori che hanno vinto la causa di lavoro e riottenuto il posto. Altri lavoratori stanno rivolgendosi agli avvocati per il rispetto dei loro diritti. Anche in questo caso la politica genovese sembra non aver nulla da dire. I dirigenti di AMIU, come quelli del Carlo Felice sembrano inamovibili: i buchi dei bilanci sono costi da far pesare sui lavoratori, privati dei loro diritti minimi fino a chè l’insolvenza finanziaria non porterà ad una privatizzazione che ci verrà spacciata come inevitabile.

Una prospettiva politica per una lotta comune

A noi appare con estrema evidenza come le lotte settoriali e territoriali abbiamo sempre un riferimento comune. Quella che chiamiamo lotta contro le grandi opere, per i beni comuni, per la democrazia e i diritti sui luoghi di lavoro o di studio è sempre una lotta contro precisi interessi materiali delle classi dominanti contro gli sfruttati. Se le classi dominanti sono state brave a dividere i lavoratori dai cittadini noi dobbiamo essere alla loro altezza per ricomporre la classe degli sfruttati contro gli sfruttatori. Non esistono interessi contrapposti tra lavoratori garantiti e precari, tra studenti e operai, tra salariati e pensionati. Chi alimenta queste divisioni fa il gioco dei padroni. Questi ultimi sanno benissimo che le divisioni nelle lotte lavorano per il loro interesse generale. Anche dove sono obbligati a fare passi indietro in virtù delle mobilitazioni essi sanno che ci saranno nuove speculazioni, nuovi diritti da cancellare, nuovi servizi da privatizzare. Per questo crediamo che le singole lotte e le singole vertenze debbano innanzitutto unirsi. Quando parliamo di generalizzazione delle lotte, non intendiamo semplicemente che i singoli comitati, associazioni, centri sociali, residui di partiti, organizzazioni dei lavoratori si diano una mano. Riteniamo che questo sia solo il primo passo verso il passo ulteriore e necessario: la costruzione di una rappresentanza politica generale delle classi sfruttate e subalterne. Per questo cerchiamo di individuare il nemico generale e lavoriamo nelle lotte per passare dalla rivendicazione singola ad una richiesta più generale di democrazia, sviluppo sostenibile, diritti, uguaglianza

La crisi della rappresentanza negli ultimi anni non ha eliminato le lotte.
Non le ha neppure divise. Sappiamo però di dire una cosa che possono pensare in molti: queste lotte stentano a trovare una dimensione di lotta politica generale. Quando la lotta allude ad un diverso modo di vivere, consumare, produrre allora è necessario dotarsi degli strumenti che permettano al progetto di una nuova società di esplicarsi in tutta la sua forza. E’ evidente come sia necessaria la ricerca di un soggetto in cui le mobilitazioni si inquadrino in teoria e pratica di cambiamento. Sono state provati negli ultimi anni i movimenti dei movimenti, le associazioni dei comitati; per noi il soggetto generale rimane l’idea del partito dei lavoratori, degli sfruttati: il partito di classe. Non stiamo ovviamente ripetendo la litania di chi crede che sia necessario avere rappresentanti istituzionali che si rapportino con i movimenti. Non è nostra intenzione piazzare una bandierina nelle lotte, magari giusto a ridosso di qualche elezione. Riteniamo invece che le lotte e le mobilitazioni debbano autorappresentarsi. Per fare questo devono unirsi, non per eleggere un consigliere o un deputato (che magari non hanno mai visto, non sanno chi è, cosa pensa, etc…) che medi con le istituzioni, ma per confrontarsi direttamente con l’istituzione per ribaltarla. Le istituzioni politiche, sindacali e imprenditoriali esistono e rappresentano precisi interessi, a volte di mediazione, molto spesso di dominio. Non è possibile pensare di cambiarle radicalmente né attraverso l’indifferenza né attraverso un rapporto di sudditanza o di richiesta al rappresentante che a turno sembra il più sensibile. Lavoriamo quindi per una unità nelle lotte che si configuri non come movimento di scopo che si confronti con le istituzioni, ma come struttura permanente che entri direttamente come rappresentante in prima persona dei desideri e delle aspirazioni generali della classe.

Esistono lotte diffuse, comitati, cittadini e lavoratori che portano avanti mobilitazioni a volte molto radicali. Esistono anche lavori di inchiesta sulla crisi e sui soggetti colpiti che devono essere messe in rete. Noi crediamo che si possa anche lavorare ad un progetto politico comune che arrivi a tutti i soggetti colpiti dalla crisi, che si ponga l’obiettivo di coinvolgere anche quegli strati di popolazione che, pur vivendo sulla loro pelle la crisi, stenta ad organizzarsi. Per questo lanciamo una idea di rete che sia uno spazio per lo scambio di esperienze e per l’elaborazione di un progetto di lotta comune. Non crediamo che dall’alto arriveranno proposte salvifiche per la rinascita della sinistra di classe. Vogliamo costruire questo percorso dal basso partendo dalla messa in rete delle lotte e delle elaborazioni di chi produce conflitto. Vogliamo farlo nei luoghi di lavoro e nei quartieri. Uniti vinciamo, divisi cadiamo.