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La Francia indomita?

03551F-melenchonIl 23 aprile si terrà in Francia il primo turno delle elezioni presidenziali. Il secondo e definitivo turno si terrà il 7 maggio. La campagna elettorale doveva sancire lo spostamento della Francia verso destra con l’avanzata del Front National di Jean Marie Le Pen a cui poteva opporsi soltanto il movimento gaullista magari in accoppiata con la destra interna ai socialisti.

Gli schieramenti in campo sono però più complessi. Il Partito Socialista del presidente Hollande, dopo una dura campagna interna, aveva scelto come candidato l’esponente dell’area critica e di sinistra di Benoit Hamon ma, all’interno del Partito, una fronda ha portato alla candidatura anche l’ex ministro Macron sostenuto da una alleanza tra la destra interna del Partito Socialista e una parte dei centristi. La sinistra candida invece Jean Luc Melénchon, già leader del Front de Gauche, con una coalizione chiamata France Insoumise con l’appoggio del Partito Comunista Francese e di altre forze comuniste e socialiste.

In questi anni, abbiamo imparato a non fidarci dei sondaggi di opinione che scandiscono regolarmente le tornate elettorali più importanti. Sempre pù spesso si tratta di sondaggi pilotati per favorire questo o quel candidato. Inoltre, le vecchie categorie politiche e sociali di riferimento che sono oramai da riaggiornare, non permettono ai sondaggisti di delineare il giusto quadro della situazione. E’ però possibile basarsi sui sondaggi per verificare alcune tendenze dell’elettorato soprattutto quando si evidenziano grosse variazioni in tempi piuttosto ristretti. Attualmente la lotta sembra escludere il candidato socialista e vede una grande rimonta del candidato di sinistra Melénchon che potrebbe ancora crescere e giungere al ballottaggio con il Front National o con il candidato dell’apparato governativo centrista Macron dati in calo costante nelle espressioni di voto.

Varianti populiste

Le campagne elettorali travolgenti di Melénchon non sono una novità. Il leader della sinistra francese aveva già riempito le piazze con i suoi comizi nella precedente campagna elettorale. Ciò dipende da un elevato carisma personale e dalla permanenza di una serie di strutture politiche organizzate di appoggio fornite soprattutto dal Partito Comunista Francese. In precedenza i voti raggiunti non erano stati però sufficienti a raggiungere il ballottaggio. Anche i temi della campagna presidenziale sono però cambiati. Nelle precedenti campagne, il tema agitato era quello legato all’ecosocialismo e ad una sostanziale moderazione nei confronti del potere economico e politico. Nel periodo trascorso sono però cambiate molte cose e Melénchon sembra aver trovato la via giusta. Il primo punto è infatti la richiesta di un profondo rinnovamento istituzionale della Francia attraverso la creazione di una sesta repubblica definita dei lavoratori. Inoltre, per il candidato di sinistra, la rottura della UE e dell’euro è tutto tranne che un tabù politico. Su quest’ultimo punto Melénchon non sceglie una via diretta preferendo parlare della necessità assoluta di una rinegoziazione dei trattati che, in caso di sconfitta, può e dovrebbe portare la Francia fuori dal processo di integrazione politica e monetaria.

La lezione greca

Il candidato francese della sinistra, sembra aver capito le lezioni del luglio 2015 quando Tsipras e il suo governo cedettero alle imposizioni della UE e si rifiutarono di abbandonare la UE e la moneta unica trasformando una vittoria popolare in un tradimento politico. Mentre larghi settori della sinistra europea, tra cui PRC in Italia e Die Linke in Germania, ancora si attardano alla difesa di Syriza e propongono confuse alleanze europeiste, Melénchon sembra aver scelto una strada diversa che sta dando risultati inaspettati. Tutto questo nonostante una evidente fronda interna legata al vecchio PCF che, pur sostenendo Melénchon, continua a parlare di una possibile alleanza con il candidato della sinistra socialista Benoit Hamon dato in calo in tutte le rilevazioni. Inizialmente Melénchon aveva partecipato all’elaborazione degli europeisti critici raccolti in Diem 25 dell’ex ministro Varoufakis che però sembra aver definitivamente abbandonato l’idea di una possibile rottura dell’eurozona vista come prospettiva populista e reazionaria tout-court. Il coraggio è quindi evidente e deriva dalla necessità di sfidare il populismo di destra francese (bene incarnato dalla destra del Front National) sul proprio terreno non rinnegando una prospettiva antisistema. La lungimiranza sta proprio su questo punto e i sondaggi che rilevano come una buona parte dei lavoratori francesi stia abbandonando l’idea di votare a destra per scegliere Melénchon indicano che la strada è giusta.

A lezione dalle lotte

Non siamo ovviamente in grado di prevedere se la rimonta di France Insoumise arriverà fino a raggiungere il ballottaggio del 7 maggio e, ancora di meno, possiamo prevedere cosa succederà quando il voto sarà definitivo. La questione più stringente, in questo momento, è quella politica. Melénchon è infatti il sintomo di un generale spostamento delle forze di sinistra in Europa che, sempre di più, abbandonano un europeismo tutto idealista per fare i conti con la realtà dei fatti e delle forze in gioco. Recentemente la Francia è stata scossa dalle dimostrazioni operaie contro la nuova legge sul lavoro, sorta di versione transalpina del nostro jobs act. La posta in gioco era elevatissima e il Partito Socialista non ha ceduto di un millimetro nonostante l’impopolarità del provvedimento. All’interno delle mobilitazioni operaie diffuse è stato evidente come la partita, più che una lotta tra il sindacato e il governo, era una lotta tra le imposizioni della UE e i lavoratori. Questa consapevolezza è stata sfruttata da Melénchon ed è stata vista come il grimaldello per recuperare consensi tra una classe operaia che stava svoltando a destra. La borghesia francese e i poteri forti di destra e di sinistra sono quindi in allarme. Tutti i giornali dei padroni sottolineano l’insostenibilità di un possibile scontro tra le due versioni antisistema: il populismo reazionario e fascista della Le Pen e il populismo socialista di Melénchon.

L’Europa indomita?

Inoltre, è interessante notare che questi ragionamenti vengano via via sempre di più raccolti anche in altri paesi. In Spagna, per esempio, il populismo di sinistra di Podemos sembra abbandonare la linea dell’europeismo assoluto per virare verso una sorta di euroscetticismo. Tutto questo dipende anche dalla prospettiva del Partito Comunista Spagnolo (PCE) che, unito a Podemos nel raggruppamento Unidos Podemos, ha assunto una prospettiva di rottura della UE e dell’euro.

Sono quindi passaggi e spostamenti significativi che hanno un valore politico che dobbiamo sottolineare positivamente.

Un successo di Melénchon è quindi auspicabile: se non avverrà in termini assoluti ma solo relativi, sarebbe comunque un segnale molto positivo da incoraggiare e sostenere.

E’ possibile quindi immaginare e costruire un progetto politico di classe e antisistema che non abbia paura di rompere con i vecchi schemi della sinistra liberale e imperialista, che combatta la xenofobia e il razzismo contendendo alla destra la rappresentanza di classe e nei settori popolari, che abbandoni ogni prospettiva di riciclo di quella vecchia sinistra radicale che ancora si attarda a parlare di Europa dei popoli o di alleanze tattiche. Una prospettiva simile a quella che, con la Piattaforma Sociale Eurostop, vogliamo iniziare a mettere in campo anche in Italia.

Chi è disponibile quindi, si faccia avanti.