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Elezioni Genova: le forze in campo

vota_antonioCon un leggero editing dovuto alle variazioni occorse nel frattempo, riportiamo qui tre testi scritti dal nostro compagno Giacomo Marchetti sulle prossime elezioni comunali di Genova. Sono una sorta di diario della fase degli schieramenti elettorali che ancora non è conclusa. I testi originari sono già stati pubblicati a puntate su Contropiano. E’ il primo di una serie di interventi che faremo da qui alle elezioni comunali. In attesa di chiarire bene quali sono le forze in campo, quali programmi e quali interessi rappresentino, questi tre testi costituiscono un primo studio della fase di schieramento pre elettorale.

Le forze in campo

Le prossime elezioni comunali a Genova, come nel resto d’Italia saranno un banco di prova interessante per saggiare lo stato dell’arte del processo di delegittimazione delle élites di potere e dei loro attori politici anche a livello locale, così come della capacità di articolare una risposta adeguata all’emergente bisogno di rappresentanza politica, anche in chiave elettorale, delle classi popolari.

La competizione elettorale saggerà il prodotto dell’attuale fase di decomposizione e ricomposizione delle formazioni politiche emerse con la “Seconda Repubblica” e del loro gradimento da parte dei ceti popolari. Nonostante negli ultimi anni abbiano apertamente manifestato il loro interesse a governare anche con una scarsa base di consenso, dovuta a quella che sembrava essere una crescente e inarrestabile tendenza all’astensione al voto, le forze in campo dovranno comunque passare per le forche caudine della prova elettorale. Prova che le ha punite quando una parte consistente della popolazione ha visto il voto come uno strumento utile per mettere in discussione il loro operato, come è avvenuto nel recente referendum costituzionale anche sul territorio genovese.

In campo gli effetti della scissione del PD nazionale e la frammentazione delle correnti interne al PD a livello locale. Le tendenze sono polarizzate attorno ai Renzi-Renzi (come vengono definiti i referenti locali dell’ex Presidente del Consiglio) e i bersaniani tra cui l’attuale vice-sindaco Bernini, vero deus ex machina della giunta Doria. Queste dinamiche hanno portato (insieme a un complicato rapporto con chi ha appoggiato da “sinistra” Doria) ad un notevole empasse nella scelta di un possibile candidato sindaco, questione su cui non è stato semplice trovare la quadra. L’unica sicurezza è stata, dopo alcuni tentennamenti, la mancata ricandidatura di Doria e lo spauracchio delle primarie(1).

Il PD locale non può più attingere da quella cassa continua e apparentemente “senza fondo” che era Banca Carige a causa degli scandali giudiziari che hanno fortemente depotenziato quella “bolla” di liquidità da cui aveva attinto per i propri progetti. Su quel sistema di potere si strutturava la base economica del “governo concertato” regionale rappresentato dal duo Burlando-Scajola, sostanziato in una logica spartitoria di pax con la destra, assieme alla quale formava il trasversale “partito del mattone”.

Nella precedente tornata amministrativa municipale, le primarie del PD avevano portato alla bocciatura di due “pezzi da novanta” del PD locale: la sindaca uscente Marta Vincenzi e, nientedimeno che, l’ex pacifista Roberta Pinotti poi diventata ministro della Difesa nel Governo Renzi.

L’affermazione dell’outsider Doria alle primarie, sostenuto da gran parte della sinistra cittadina, aveva reso meno appetibile l’ipotesi di rottura incarnata nel Movimento Cinque Stelle e meno travolgente il suo avanzamento elettorale. Il candidato di allora era stato Paolo Putti (ora in forte dissenso), figura più rilevante del movimento “No Gronda”, una bretella autostradale classificabile nel novero delle Grandi Opere Inutili devastatrici del territorio.

L’affermazione di Doria alle primarie aveva di fatto azzerato ogni ipotesi di intervento alla sua sinistra con una presenza alternativa che non fosse mera rappresentazione delle organizzazioni che l’esprimevano. Naturalmente i comitati che l’avevano sostenuto, una volta eletti, sono stati di fatto sciolti e le politiche intraprese, in particolare sulle privatizzazioni delle partecipate, ne hanno stravolto il programma elettorale. In tal modo la giunta, guidata da un’esponente proveniente dall’aristocrazia rossa genovese, portava alla disillusione più celere delle tre esperienze delle giunte arancioni che avevano conquistato in precedenza i comuni di Milano, Cagliari e Genova.

Con il suo operato Doria ha lasciato la maggioranza saldamente nelle mani del PD, con una SEL assolutamente appiattita sulle politiche di fondo, facendo ben presto ricredere quella prte di sinistra che aveva sostenuto l’emulo di Pisapia.

Uno dei temi in gioco era quindi capire come questa disillusione avrebbe impattato sull’elettorato. In particolare sulla probabile capacità di crescita della “narrazione” del M5S, che finora ha incarnato in larghi strati delle classi subalterne quell’alternativa possibile all’attuale quadro politico. Tutto questo al netto delle difficoltà della giunta romana e delle emorragie interne al “movimento”.

Nel caso genovese l’emorragia riguarda l’uscita di tre consiglieri eletti in Comune tra le file del 5 stelle (tra cui il capogruppo Paolo Putti con una maggiore sensibilità politica per le questioni sociali reali e una opposizione netta ai grandi progetti speculativi) divenuti poi quattro. Ne sono scaturite aspre polemiche tra il nuovo gruppo dirigente (rappresentato per lo più da militanti dell’ultima ora del Movimento, più inclini a concentrarsi sul marketing della comunicazione politica che sulle istanze politico-sociali) e i fuoriusciti, o comunque le frizioni tra chi, pur non seguendo il percorso di Putti, ha giudicato eccessivi i toni usati contro di lui (tacciato dallo stesso Grillo di essere un traditore).

Tutto questo ha avvelenato il clima di chi si avviava probabilmente a vincere la tornata elettorale. Inoltre è stata avviata una nuova modalità di selezione dei candidati sindaco e consiglieri, il cosiddetto Metodo Genova. Metodo che doveva avviare una nuova fase nella modalità di selezione blindata del personale politico 5 stelle che si candidava a governare una città. Il candidato sindaco doveva essere chi, nella rosa dei candidati consiglieri, riceveva più voti e i candidati consiglieri dovevano essere scelti a loro volta solo tra coloro che hanno espresso la preferenza per il candidato sindaco. In questo modo sarebbe stata blindata l’ipotetica giunta.

Sotto traccia si avviava l’idea di un nuovo riposizionamento complessivo del Movimento, più incline ad accreditarsi complessivamente come opzione di governo affidabile per parti importanti del blocco di potere. Nei fatti un ceto politico “neo-borghese” pronto a raddrizzare le storture del sistema, caratterizzato anche a Genova da un sistema di clientele, corruzione e intrecci con la criminalità organizzata, ma tutto dentro l’orizzonte di una “governabilità” normale. Metodo che lasciava nel cassetto ogni velleità alternativa contro i pilastri dell’attuale assetto politico-sociale a livello locale o contro i profondi processi peggiorativi che sta conoscendo la Superba.

D’altro canto la “sinistra” e i corpi sociali intermedi che ad essa afferiscono (dirigenza della Camera del Lavoro, Arci, Comunità di S.Benedetto, “terzo settore”, associazionismo, etc…) rinnova ancora una volta quel ruolo di subalternità all’asse di potere del PD che, in forme più o meno evidenti, non ne mette in discussione le linee guida.

Tutte le frizioni tra il sindacato e le associazioni con la Giunta uscente sono quindi derubricati a incidenti di percorso. Lo stesso sindacato maggioritario, in vista della scadenza elettorale, addirittura si erge a baluardo della giunta e del centrosinistra allargato accettando la privatizzazione dell’azienda pubblica che gestiste il ciclo dei rifiuti.

Da scongiurare sembra lo spettro delle recenti Regionali, dove la mancata alleanza con il PD (il cui corpo elettorale non ha metabolizzato positivamente la scelta di candidare la Paita da parte del suo grande sponsor Burlando) ha fatto perdere la Regione al centro sinistra “regalandola” alla destra. Rimane la proposizione di un antiberlusconismo senza Berlusconi come l’unica idea forza della narrazione di quella sinistra incline ad una alleanza con il PD.

Questa sinistra ha sempre sostenuto la giunta arancione nelle sue scelte peggiori di fondo: la fine dell’ipotesi del centrosinistra ha prodotto perciò un effetto si salvi chi può in cui il toto-candidato assomiglia più ad un immagine caricaturale delle fantasie del calcio mercato che ad una sfida elettorale. Tra autocandidature di personaggi screditati dal loro pervicace carrierismo e vere e proprie invenzioni giornalistiche. Anche quando hanno tentato di tirare fuori dal cappello il meno peggio, il presidente della Fondazione Ducale, Luca Borzani, tutta l’operazione cosmetica non si discostava da una copia in sedicesimi della fallimentare stagione arancione, nonostante l’indubbio valore e il capitale simbolico del candidato.

La destra cittadina è storicamente debole e frammentata ma ringalluzzita dalla recente conquista della Regione e del vicino comune di Savona. Al suo interno la componente leghista non si è mai radicata nel capoluogo ligure mentre la mancanza di una destra sociale vicina alla galassia dei gruppi neo-fascisti, comunque presenti e in cerca di visibilità, non conta nei giochi politici della Superba. Questo non vuol dire che la destra non punti su Genova: anzi sembra essere anche per lei un banco di prova per una possibile candidatura unitaria, in una sorta di destra plurale.

Questo non tanto per un calcolo sulle sue forze ma per le debolezze dell’avversario. Di fatto la destra non ha mai visto i propri interessi intralciati dal centrosinistra se non nelle sue più oltranziste ed episodiche crociate che hanno tratto forza più dalla cattiva gestione del centrosinistra su alcuni temi delicati che da una vera e propria capacità politica.

Naturalmente una sinistra sex and the city che ha saputo condurre battaglie solo sui diritti civili individuali mentre era protagonista del taglio delle garanzie sociali delle classi subalterne, una sinistra espressione di una condizione sociale da ceto medio-alto risulta un facile bersaglio per gli attacchi della destra.

Una destra che usa il sovranismo come grimaldello per intercettare il risentimento delle classi subalterne in chiave antieuropeista, attraverso la narrazione del ritorno all’Italietta della Lira.

Genova alle prese con la trama di potere

La parola trama, che sostituisce quella più limitante di casta, è stata recentemente introdotta nel linguaggio politico concettuale di Podemos, mutuandola dall’analisi del deputato Manolo Monereo. Questo termine ci pare che si adatti perfettamente all’analisi del blocco di potere che sta governando La Superba da quasi venti anni.

La sua crisi di egemonia sulle classi subalterne si sta concretizzando con la veloce frammentazione della rappresentanza politica in una situazione estremamente fluida.

La trama si trova nell’impossibilità anche solo di abbozzare un patto sociale minimamente inclusivo in grado di governare le contraddizioni sociali in una fase di transizione della città nei suoi punti nevralgici. Che toccano dal polo industriale al porto, dalle aziende partecipate a quelle del terzo settore, dal settore turistico-alberghiero al mondo della scuola-ricerca.

Per ora, la prospettiva della fusione di un blocco sociale storico in grado di far precipitare un processo di rottura con il quadro politico dato non appare come possibilità concreta nell’immediato futuro.

Questo ritardo ha dei precisi riflessi sulla formulazione di una ipotesi politica che si ponga nell’ottica di iniziare un processo costituente che rompa, non solo con la classe dirigente locale, ma con l’apparato di potere tout court.

Per questo trarre la sintesi politico-organizzativa delle numerose lotte che hanno visto protagoniste in questi anni importanti fasce della popolazione a cominciare da settori di punta della working-class, abitanti dei quartieri periferici e differenti mondi come quello della scuola, non è un compito facile.

Questo non vuol dire che la crescente insofferenza non possa tradursi almeno parzialmente in una chiara indicazione di voto per un soggetto politico in grado di esprimere questa tensione.

Uno dei veri rompicapi politici della fase sta sul piano, comunque scivoloso e contraddittorio, del provare a dare forma ad una rappresentanza politica locale in chiave populista che dia voce ad una sempre maggiore fascia degli esclusi. Forzare l’orizzonte o scartarla e lavorare su un più ampio arco temporale che traguardi le imminenti elezioni amministrative è una scelta non semplice. Certamente esiste una frattura territoriale e anagrafica (centro-periferia e generazionale) che è un dato da tenere in considerazione. Frattura emersa con evidenza nell’analisi del voto contrario alla riforma costituzionale di Dicembre che costituisce un esempio interessante di come la prefigurazione di una tendenza ha permesso di impostare con successo la campagna referendaria per il no sociale. Dato di cui occorre tenere ben conto come precedente organizzativo.

Al di là delle fantasiose narrazioni la Superba rimane una città antropologicamente operaia che non potrà mai conoscere una transizione a realtà compiutamente post-industriale dedita ai servizi e al settore turistico alberghiero. Il tutto confermato dalla mancanza di un ingente flusso di capitali interessato a investire nella città. Genova rischia piuttosto di divenire una shrinking city da “caso-studio” (come viene già dipinta in alcuni manuali di sociologia urbana) molto simile a una metropoli post-coloniale del Sud del mondo.

L’immagina distopica di Genova potrebbe essere quella di un città paradiso del turismo mordi e fuggi in un centro-levante compiutamente gentrificato con, sullo sfondo, una povertà sociale dilagante in una periferia in conclamato stato di abbandono. Periferia attraversata da faraoniche e distruttive grandi opere inutili in cui sopravvive una forza lavoro attinta dal bacino della disoccupazione locale. Per non parlare del porto, in mano alle multinazionali del mare con una forza lavoro flessibile e precaria e il settore dei servizi in mano ad aziende private con un apparato industriale residuale simile ad una zona economica speciale.

La trama è quindi un meccanismo unificato che organizza una sorta di matrice del potere in cui convergono interessi economici, potere mediatico e una classe politica strutturata.

Sostanzialmente organici, anche se in realtà collaterali, a questo blocco di potere risultano essere la dirigenza del sindacalismo confederale (CGIL, CISL e UIL), quella del Terzo Settore e di quei corpi sociali intermedi che non hanno mai reciso quel cordone ombelicale con l’apparato di potere del PD.

Questo raggruppamento di interessi è il vettore locale delle oligarchie di potere e del loro credo ordoliberista, per cui sono le istituzioni pubbliche che devono farsi carico delle esigenze del mercato, anche e soprattutto quando si tratta di privilegiare l’interesse privato sul bene pubblico. Depauperando, fino ad azzerarla, la già residuale sovranità popolare su alcuni aspetti rilevanti della governance locale e del patrimonio di cui essa gode da svendere il più possibile per fare cassa e ripagare un debito di cui si conosce l’entità ma di cui è difficile conoscere la composizione.

In questo contesto la svendita dei commons, non solo assicura una rendita sicura per gli interessi privati che se li accaparrano, ma una perdita della capacità di controllo e quindi di potere decisionale su uno degli aspetti centrali di quello che David Harvey ha definito il diritto alla città. Tutto già in parte realizzato con la svendita dell’acqua pubblica alla multiutility IREN.

In una fase di crisi di realizzazione dei profitti la metropoli assume direttamente il ruolo di una merce indispensabile per la rendita di posizione delle oligarchie politico-finanziarie: acqua, mobilità, gestione dei rifiuti e welfare sono i bocconi prediletti. Difficile non notare come la costruzione politico-economica dell’Unione Europea si fondi appunto su questi voraci appetiti e sul tentativo di “cessione di sovranità” su rilevanti aspetti della vita pubblica verso quella trama di interessi che sembrano strutturarsi in una logica neo-coloniale.

In questa cornice si inserisce il pervicace tentativo di svendita di AMIU (azienda pubblica che gestisce il ciclo dei rifiuti) a IREN che già si è appropriata delle risorse idriche locali.

Un flusso di liquidità assicurato dalla Tari (la tassa sui rifiuti), la lucrosa speculazione sulla produzione di metano e di compostaggio e il funzionamento a pieno regime degli inceneritori di Torino e Parma sono i motivi contingenti dell’interesse di questa multiutility favorita senza nessuna gara nell’accaparrarsi gli introiti derivanti dalla gestione della raccolta dei rifiuti.

Ma oltre l’aspetto economico, con il corollario di un amministratore delegato autocrate e di bilanci indecifrabili, c’è il pericoloso accumulo di potere su gangli vitali della vita urbana all’interno di un unico soggetto e delle sue controllate. In nome di interessi speculativo-finanziari che non stanno tardando ad emergere, come i lauti dividenti agli azionisti di Mediterranea delle Acque hanno dimostrato in questi anni.

La battaglia contro l’accorpamento AMIU-IREN acquista così quasi una valenza epocale per Genova. E’ difficile anche solo immaginare per il futuro ipotesi di reversibilità di questa scelta per una amministrazione che volesse invertire la tendenza alla privatizzazione, oltre a essere una vera propria sciagura per i lavoratori coinvolti(2).

Alla ricerca del quarto polo

Il caos non è un pozzo. Il caos è una scala! Tanti che provano a salirla falliscono e non ci provano più: la caduta li spezza. Ad altri viene offerta la possibilità di salire, ma rifiutano: rimangono attaccati al regno, o agli dèi, o all’amore. Illusioni. Solo la scala è reale. E non resta che salire.”

Ditocorto, Trono di Spade, “La scalata”

 A circa due mesi dalle elezioni amministrative il quadro degli schieramenti politici che aspirano a governare la Superba si è definito nelle sue grandi linee, in dialettica con le spinte di trasformazione della rappresentanza politica a livello nazionale.

 I tre poli

Sono tre i poli principali che sono emersi con i relativi candidati sindaci dopo un processo relativamente tortuoso di gestazione delle ipotesi politiche in campo: un polo di centro-sinistra che ha scelto Gianni Crivello, dopo non poche titubanze dello stesso candidato , attualmente assessore alla Protezione Civile della Giunta Doria, un polo di centro-destra che ha scelto, su indicazione della Lega Nord, Marco Bucci, amministratore delegato di Liguria Digitale, e Luca Pirondini, tenore del Teatro Carlo Felice per il movimento 5 stelle(3).

Pirondini, candidato prescelto dallo staff del M5S e sponsorizzato da Alice Salvatore, figura di spicco del Movimento a livello locale, è stato scelto scelto con una elezione telematica a livello nazionale tra gli aventi diritto del Movimento. Questa scelta ha delegittimato ed estromesso, con un colpo di mano, la candidata sindaca Marika Cassimatis emersa attraverso le elezioni avvenute a livello locale con il Metodo Genova che, imposto dalla dirigenza pentastellata, aveva creato non poche perplessità tra gli attivisti e simpatizzanti grillini.

Le liste civiche a sinistra sono ora confluite in un unico progetto di interlocuzione con Crivello: Genova Cambia, creatura politica del presidente del Municipio Centro Est Simone Leoncini (ex di Rifondazione Comunista, eletto tra le fila di Sel e poi confluito nel gruppo misto) e Genova Che Osa della giovane consigliera comunale Marianna Pederzolli, figura di spicco di una organizzazione giovanile chiamata Left Lab. Queste esperienze sono un disperato tentativo di ricerca di visibilità per Leoncini e Pederzolli per contrattare un posto più rilevante di quello che gli sarebbe stato probabilmente assegnato e per tutelare interessi clientelari di cui queste esperienze sono espressione(4).

 Crivello, Bucci, Pirondini

L’ipotesi di un remake del centro-sinistra attorno alla figura di Crivello, garantisce la continuità dell’asse di potere che ha governato storicamente la città e il proseguimento delle politiche fino a ora intraprese. Il tutto immerso in una retorica narrativa di una figura politica, non diretta espressione del PD, che si candida come sindaco dei municipi.

Per chiarire di chi stiamo parlando, l’attuale assessore alla Protezione Civile ha preso una posizione favorevole alla rigida applicazione del daspo urbano contro i writers. Il tutto a distanza di qualche giorno dalla  diffida di 5 anni per alcuni militanti antifascisti per fatti relativi, non al tifo organizzato, alla recente mobilitazione contro un convegno europeo organizzato a Genova da Forza Nuova.

In questo senso Crivello si inserisce perfettamente nel solco inaugurato da Minniti, candidandosi come sue fedele esecutore.

L’ipotesi legata a Marco Bucci, che ha ricevuto l’endorsement di Confindustria e di Camera di Commercio, proietta il Carroccio verso un nuovo protagonismo in città e, in generale, conferisce al centrodestra, che governa già la Regione, un ruolo di maggiore credibilità anche all’interno dei ceti popolari. Avvalendosi della narrazione dell’uomo pragmatico che punta su turismo, porto-infrastrutture e sviluppo del digitale per il rilancio della Superba e dichiarando fin da principio che condurrà una campagna per i quartieri e per i mercati, l’ipotesi di una Genova consegnata alla destra non sembra così peregrina.

Significativo è lo spazio che gli viene dato sulle colonne locali de La Repubblica che cerca di smarcarlo dagli aspetti più razzisti della propaganda che vorrebbe imporre Salvini. Valga come esempio lo spazio dedicatogli dall’inserto Infrastrutture uscito il 29 marzo in allegato con il giornale locale. Nel tentativo di presentare il programma del partito trasversale delle Grandi Opere che comprende il centro-sinistra così come Paolo Signorini (presidente dell’autorità di sistema del Mar Ligure Occidentale) e Guido Fassio (segretario generale della Filt Liguria), si sprecano gli interventi del neo candidato della destra.

Il M5S sembra ancora incarnare agli occhi degli elettori della Superba, nonostante le notevoli difficoltà attraversate al proprio interno, la chance di una discontinuità con il quadro politico definito: alcuni punti del programma di Pirondini sembrano confermare questa possibile positiva inversione di rotta, altri risultano più ambigui e danno l’impressione di essere più inclini ad una realpolitik che non metta in discussione alcuni indirizzi politici intrapresi dalle amministrazioni precedenti.

Per cui viene ripreso il tema della sicurezza urbana, dell’immigrazione e del turismo in maniera non molto dissimile dagli altri schieramenti, non si fa cenno alla natura pubblica delle aziende partecipate ma solo ad una loro più efficiente gestione e ad un generico taglio agli sprechi, non c’è un No netto alle grandi opere preferendo parlare di gestione trasparente e condivisa con i cittadini.(5)

Quarto polo?

L’ipotesi di un quarto polo alternativo a questi tre schieramenti non ha avuto ancora una configurazione chiara a parte la sovraesposizione mediatica delle trattative intercorse tra i dissidenti del M5S di Effetto Genova con i transfughi da Rete a Sinistra legati a Sinistra Italiana e a membri di Possibile.

L’ipotesi politico-sociale Genova in Comune, la creazione di un “quarto polo” che rappresentasse una alternativa credibile al quadro politico, così come al suo personale politico, non si è concretizzata nei termini preconizzati. Anzi sembra confermare che il nuovo che avanza è in realtà il vecchio che non muore.

In questo contesto lo scoglio elettorale ha rischiato di schiacciare il dibattito sul quarto polo appiattendolo su un piano elettoralista con un confronto su metodo e contenuti che ha spesso risentito delle modalità di un ceto politico ancora interno a dinamiche mutuate dal vecchio che non muore piuttosto che ispirato al nuovo che nasce.

Prendendo a prestito le parole del poeta, di questo tempo non rimarranno nemmeno splendide rovine: occorre quindi costruire una ipotesi alternativa non con le macerie della vecchia rappresentanza politica ma sulle macerie di questa.

I membri usciti o estromessi di fatto dal M5S, come Effetto Genova, seppure abbiano tenuto un coerente atteggiamento contro le politiche della Giunta Doria e si rifacciano allo spirito delle origini del movimento, non sono stati in grado di articolare una proposta pubblica che andasse oltre la critica ai meccanismi di mancata democrazia interna al M5S (salvo poi riprodurli in sedicesimo, spesso). Autori di un generico appello alla società civile e all’ipotesi di costruzione di una lista civica senza sigle e senza simboli sembrano escludere l’appoggio di quelle forze della sinistra che, seppur residuali, sono state con i propri militanti dentro alle mobilitazioni politico-sociali della Superba e non possono essere ignorati come possibili compagni di strada.

In generale, l’idea di proporre un buon amministratore di condominio come sindaco non soddisfa i presupposti basilari della sfida che si pongono nella costruzione di una città per le classi subalterne. Senza un immaginario di rottura e un “ancoraggio a quelle esperienze che pur con tutte le difficoltà stanno cercando di praticarlo, le best practices amministrative dentro il patto di stabilità e il Decreto Madia, rischiano di diventare nel migliore dei casi una gestione più equilibrata della miseria sociale crescente(6).

L’esperienza di Genova in Comune

Questa esperienza, emersa pubblicamente con un appello cittadino e una assemblea pubblica a ridosso del referendum costituzionale del 4 dicembre e nonostante fosse da mesi uno spazio di dibattito tra differenti realtà cittadine, ha avuto l’indubbio merito di avere cercato di spostare il dibattito politico sui contenuti e la partecipazione popolare come conditio si ne qua non dell’agire politico. L’appello partiva da un giudizio negativo a tutto tondo sulla Giunta Doria ispirandosi alle pratiche di rottura delle cosiddette Città Ribelli e i relativi laboratori politico-sociali (Napoli e Barcellona in primis). In generale si provava a guardare con particolare attenzione alle esperienze di sinistra radicale emerse a livello continentale, le uniche in grado di sfidare anche a livello elettorale in chiave populista sia i partiti dell’establishment che la destra sovranista e xenofoba.

Nonostante un confronto serrato con le realtà cittadine legate a movimenti politico-sociali, non si è riusciti però a coagulare attorno a sé una massa critica sufficiente a determinare un piano politico in grado di presentarsi all’appuntamento delle amministrative dettando regole e contenuti del confronto per una rappresentanza politica alternativa al quadro che si presenta.

In questo confronto allargato si è riscontrata una forma mentis indotta dalla crisi più incline alla rassegnazione che a cogliere l’occasione rispetto ai compiti minimi di una fase politica delicata evidenziando altresì una pericolosa deriva di depoliticizzazione del conflitto. In altri termini una divaricazione tra sociale e politico che rischia di far cortocircuitare gli sforzi generosi di chi, partendo dalla propria specificità, si ostina a non affrontare praticamente la tematica del potere, della sua legittimità e della sua rottura/disarticolazione.

Il rifiuto di una possibile riflessione politica sull’articolazione e sulla dialettica tra potere costituente e potere costituito da parte degli attivisti (a parte qualche rara eccezione) si è evidenziato con vari alibi politici la cui sintesi può essere affidata ad una strofa di una famosa canzone dei Baustelle: il tuo pessimismo da quattro soldi, chiaramente aveva fatto proseliti.

Rimane il fatto positivo di aver posto e di continuare a porre, al di là del feed-back insufficiente, il piano della politica come terreno di discussione a una serie di esperienze, non solo orfane di una esperienza politica di riferimento e di un palpabile disorientamento (almeno sul piano pubblico), poco interessate a ripensare la propria prassi e funzione. Problema atteso in un momento di conflitto sociale non montante ma nel quale si assiste comunque a una drastica e accelerata riduzione dei margini di agibilità politica, come di fatto verificato ed enunciato dalle variegate anime politiche di movimento a livello nazionale.

Permangono i nodi messi in evidenza da importanti esperienze di mobilitazione politico-sociale emersi in questi anni a livello locale: movimento NoTAV-NoTerzo Valico (e in generale contro le grandi opere), la lotta per la casa, l sostegno ai migranti, il movimento contro la riforma della scuola pubblica e soprattutto le lotte dei lavoratori (partecipate, industria e porto) e per la difesa dei beni comuni. Queste mobilitazioni, chi le ha animate o sostenute, non sono riuscite a far fare un avanzamento generale e/o a sedimentare un processo politico-organizzativo che fungesse da base per un percorso di rottura, almeno a livello locale, come sbocco politico necessario.

Ma è da questi nodi che occorre necessariamente ripartire senza scorciatoie politiciste.

Genova In Comune, con il contributo dato a sostegno delle proposte di leggi di iniziativa popolare su alcuni nodi importanti della governance cittadina e soprattutto attraverso la lotta nelle aule del consiglio comunale contro la svendita dell’azienda pubblica di gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti Amiu, ha comunque messo in seria difficoltà l’uscente giunta Doria segnando tappe importanti per la costruzione nel medio-lungo periodo di una rappresentanza politica locale dignitosa.

Rimane una ineludibile questione di fondo: senza la creazione di un polo politico nazionale che affronti di petto la gabbia che l’Unione Europea impone, dettando la governance dell’austerità anche alle amministrazioni cittadine, difficilmente verrà alla luce, nonostante gli sforzi soggettivi, una esperienza che abbia la forza di imporsi come soggetto politico a livello locale(7).

Giacomo Marchetti

Note al testo

  1. Il PD alla fine ha rinunciato alle primarie e si è costituita una coalizione con candidato Sindaco Gianni Crivello appoggiato dal PD e dai due raggruppamenti di centrosinistra Genova che cambia e Genova che osa. Sostanzialmente il PD, la destra di Sel ex Rete a Sinistra e il raggruppamento degli ex PD del gruppo Bersani-D’Alema
  2. Al momento la svendita di AMIU a IREN è ancora bloccata per mancanza di una maggioranza in Comune. Per tre volte la Giunta ha dovuto fare marcia indietro. Per capire l’importanza, anche politica, di questa vicenda basti pensare che i consiglieri di Sinistra Italiana e Possibile (possibili alfieri del cosiddetto quarto polo, non hanno ancora specificato la oro posizione sulla vicenda
  3. La questione 5 stelle non è stata ancora risolta. Il candidato Pirondini è, al momento, congelato. Pesa la decisione dei giudici sul ricorso dell’altra candidata Marika Cassimatis che, allo stato attuale, rivendica a se il ruolo di candidata ufficiale. Le voci più accreditate parlano di rinuncia dei 5 stelle alla presentazione elettorale del simbolo
  4. La spaccatura della sinistra genovese è evidente. Un pezzo rilevante è in coalizione con il PD. Un’altra parte sarà candidata nella lista civica Chiamami Genova di Paolo Putti, rinunciando però a ogni simbolo e candidando singoli nomi all’interno del percorso civico. Stessa scelta del Partito della Rifondazione Comunista
  5. Ovviamente, le proposte di Pirondini potrebbero rimanere nel cassetto visto il probabile rifiuto del 5 stelle alla presentazione (vedi nota 3)
  6. Il quarto polo è comunque nato sotto la spinta di Paolo Putti con la lista civica Chiamami Genova. All’inizio era una proposta nata dall’appello Genova in Comune che ha partecipato alle trattative con Putti facendo comunque emergere molte critiche. In questo momento la posizione di Genova in Comune è di attesa. Probabilmente non vi sarà un appoggio diretto a Chiamami Genova ma l’indicazione di voto verso alcuni candidati particolari
  7. Si fa qui riferimento al fatto che i programmi che vengono proposti appaiono del tutto simili e non si affrontano in maniera chiara i nodi politici del rifiuto del patto di stabilità degli enti locali e del debito comunale.