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Accettiamo la sfida. Ma a modo nostro

Questo è il nostro intervento all’assemblea genovese di Potere al Popolo che si è tenuta venerdì 15 dicembre a Genova. Hanno partecipato circa 240 persone. Non leggerete nulla di questo sui giornali, non vedrete nessuna notizia ai telegiornali. Ma meglio così, significa che il potere ci considera pericolosi.

Le assemblee territoriali di Potere al Popolo che si stanno tenendo in tutta Italia testimoniano un entusiasmo difficilmente trascurabile.

Nei giorni scorsi scrivevamo che la proposta dei compagni dell’ex opg di Napoli non poteva essere archiviata come una delle tante degli ultimi anni. Questo sia per i contenuti sia per le modalità, ma soprattutto perché proveniente da un gruppo di compagni e compagne a cui da anni va la nostra stima per il lavoro svolto.

Non ritorneremo sulle perplessità che avevamo espresso pochi giorni fa e neppure sull’elenco di opportunità potenziali che questa proposta mette in campo. Crediamo infatti che occorrerà, a un certo punto, schierarci con nettezza.

Come Collettivo Genova City Strike non ci occupiamo normalmente di liste elettorali o di elezioni. Diciamo subito che dell’avventura elettorale avremmo fatto volentieri a meno e che, normalmente, non è nostro costume invitare qualcuno a votare. Sappiamo che da anni i Parlamenti nazionali, a ogni livello, sono scatole vuote con poteri praticamente azzerati, sono macchine di una propaganda sempre più sbiadita e totalmente staccata da ogni processo reale. L’astensionismo diffuso dimostra che a fasce sempre più elevate di lavoratori e di sfruttati interessa poco chi governerà o chi siederà in Parlamento.

Nonostante questo, ci accorgiamo quotidianamente che vent’anni di assenza reale di ogni opposizione di classe, anche a livello istituzionale, ci hanno consegnato a una politica dove ogni spazio di conflitto viene cancellato, dove i poteri forti agiscono indisturbati, dove i fascisti sono sdoganati da un sistema politico e mediatico nauseante.

Ci rendiamo anche conto che questa situazione rende il conflitto sociale più difficile, riducendone la portata e rendendo quasi impossibile ogni vittoria parziale. Per questo, in condizioni di debolezza, ogni conflitto è politico e si deve riappropriare dei propri spazi in tal senso.

Oggi la politica, lo abbiamo visto con la Brexit, con il referendum costituzionale, con la vittoria dell’oxi greco, con i risultati di candidati outsider come Corbyn o Melénchon, è l’anello debole del sistema di comando imperialista. E’ il nervo più scoperto delle classi dominanti: laddove è possibile, il popolo vota per vendicarsi. Che lo faccia bene o male poco importa, quello che conta è che il sistema è costretto ogni volta a blindare se stesso per continuare a riprodursi.

La blindatura è fortissima a livello politico. Le leggi elettorali super maggioritarie, la difficoltà a raccogliere le firme, il totale oscuramento sui media di ogni espressione di dissenso ci dicono che anche qui la partita è truccata. Oggi i poteri forti hanno deciso che gli spazi politici sono disponibili soltanto per gli schieramenti normalizzati (dal PD a Grasso, dal 5 stelle di Di Maio fino al centrodestra) mentre ogni espressione di disagio sociale viene ascritta ai fascisti usati come spauracchio per blindare ogni alternativa politica di sistema

Le lotte sociali, gli scioperi, le opposizioni territoriali vengono censurate o trattate come un mero problema di ordine pubblico. Si gioca, dunque, su un terreno che non è il nostro, con armi totalmente spuntate e con regole dettate da altri.

Per questo più che al quorum o quanti voti si raccoglieranno, ci interessa capire se è possibile attivare un processo di partecipazione popolare.

Badate bene, chi sostiene che la sinistra è divisa e se ne lamenta, per noi non ha capito nulla. Ciò che i media chiamano “sinistra” è da anni il nemico interno delle classi popolari; è una parte non irrilevante del disastro sociale. Per questo poco ci interessa criticare i vari Vendola, Grasso, Fratoianni e D’Alema. Lasciamoli al loro destino, il fatto che loro qui non ci siano, non è un problema ma un’opportunità.

Se riusciremo a mettere in prima fila i lavoratori che lottano tutti i giorni, i comitati territoriali che si battono contro la devastazione ambientale, gli occupanti delle case, allora avremo delle possibilità.

Si vince non se si prendono voti ma se si convince qualcuno a sviluppare il senso e la necessità di mettersi in gioco. Si vince se la sfida è quella di favorire la nascita di comitati di quartiere solidali, di coordinamenti in sostegno alle vertenze dei lavoratori, di strutture che lottano per i diritti negati.

Si vince se questi coordinamenti capiranno che è necessario uscire dal loro particolare per dotarsi di una struttura politica allargata, perché il problema è generale e se non si affronta su scala superiore si perde sempre. Noi crediamo che il mondo non si divida in destra e sinistra ma tra sfruttati e sfruttatori. Potere al popolo significa unire gli sfruttati in una prospettiva politica.

Per questo, la vera partita non sarà il voto di primavera ma ciò che deve cominciare dopo. Da Comunisti ci interessa molto di più la rappresentanza sociale e di classe che quella istituzionale. Se si è forti lo si è laddove vanno in scena i conflitti reali e non quelli simulati. Se il senso della sfida è questo, se il Potere Popolare è ciò che abbiamo capito noi, accettiamo la sfida e siamo pronti a fare la nostra parte.

Per il momento ci pare che sia stata scelta una strada difficile, controversa e rischiosa, che tuttavia può anche essere quella giusta se affrontata da questo punto di vista, se vogliamo usare le elezioni e non esserne usati, pensando al dopo, al blocco sociale organizzato che oggi è ciò che manca di più. Come al solito dipende quasi solo da noi. E, con le nostre piccole forze, siamo pronti a fare la nostra parte.

GCS