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[recensioni] Utopie Letali

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Titolo
Utopie letali. Capitalismo senza democrazia
Autore
Formenti Carlo
Editore
Jaca Book

La parte più potente del nuovo libro di Carlo Formenti (Utopie Letali, Jaca Book 2013) è l’invito a tutti i lettori e a tutti i militanti marxisti ad un bilancio impietoso delle sconfitte politiche e organizzative che si sono state registrate negli ultimi venti anni. Ovviamente si tratta di un bilancio tutt’altro che positivo, per non dire terribile. Questo non perchè lo dice Formenti, ma perchè la sottrazione di tutele, garanzie e diritti la vivono sulla loro pelle milioni di lavoratori, precari, studenti, disoccupati e migranti. Questo non solo in Italia e non solo in occidente. Dall’ottantanove in poi il diluvio. La caduta del socialismo reale porta con se anche e soprattutto la caduta drammatica del compromesso socialdemocratico che con fasi alterne aveva garantito (in quanto sostanziato e spinto da furenti lotte sociali anche contro quel compromesso) un periodo di conquiste sociali per i subalterni in Italia e in Europa. Quel compromesso salvava il capitale e lo rinforzava in quanto allontanava lo spauracchio del comunismo. Era contestabile ma reggeva per un gran numero di soggetti sociali in un periodo in cui aumentavano i salari, si allargavano le tutele per i più deboli. Dall’ottantanove in poi più nulla se non il dispiegarsi in tutta la sua potenza della ristrutturazione liberale connessa alla “fine della storia”. Quel crollo poteva però anche essere rivendicato e poteva servire da lancio per un rinnovato pensiero marxista critico che in Italia (e prepontemente anche in Europa) prende le mosse dal cosiddetto neo-operaismo di Tony Negri e allievi. Nel libro di Formenti (che riprende e sviluppa intuizioni già presenti in “Felici e Sfruttati”) la critica al neo (post) operaismo si fa però serrata fino all’accusa di essere assolutamente compatibile con il pensiero liberista. La posizione di Formenti è particolarmente interessante in quanto l’autore sta all’interno di un’area che con il neo-operaismo e con gli adoni del general intellect ha avuto molto a che fare in passato. Non si tratta quindi di una polemica ideologica di vecchia data ma di una presa di posizione maturata in un arco di tempo piuttosto lungo. Formenti stesso pone al centro del suo discorso una personale autocritica che, forse proprio per questo, lo porta ad essere particolarmente duro con gli ex compagni di ideologia, che gli rispondono per le rime in maniera piccata. La parte polemica con il pensiero di Tony Negri è però solo una parte del discorso di Formenti che si dilunga molto per costruire un’opera molto ambiziosa sostanzialmente divisa in tre parti: 1) una analisi della crisi dove contesta l’idea che sia solo una crisi finanziaria mettendo in relazione gli aspetti che la legano indissolubilmente ad una classica crisi capitalista di sovrapproduzione 2) una seconda parte dove vengono analizzate e criticate molte delle teorie proposte per una uscita dalla crisi democratica e sociale: dal pensiero negriano alle idee basate sul diritto e sul costituzionalismo (Rodotà ed altri). In questa parte l’autore si sofferma sulla necessità di mantenere ben desta l’attenzione sulla permanenza del conflitto capitale lavoro come contraddizione principale tra sfruttati e sfruttatori in polemica con il pensiero che individua nei beni comuni il percorso rivendicativo delle moltitudini, o in polemica con talune applicazioni del pensiero femminista, culturalista, ecologista. 3) Infine il discorso si sposta sulle nuove modalità organizzative che si pongono alla base di un rinnovato pensiero strategico comunista ed antagonista rileggendo all’interno del conflitto di classe le esperienze dell’America Latina, delle lotte degli operai cinesi, delle esplosioni di rabbia nelle periferie (banlieu francesi, slums inglesi) europee. Molte delle critiche che vengono poste al lavoro di Formenti si concentrano su una presunta riscoperta dell’ortodossia meccanica del pensiero marxista. In realtà l’atteggiamento dialettico di Formenti è molto spiccato e la sua analisi è ben lungi da una ripetizione di concetti quali la centralità della classe operaia ovunque ed in ogni condizione. Nel libro sono ben presenti le difficoltà che si trovano giornalmente di fronte tutti coloro che provano a ricostruire una prassi comunista all’interno delle lotte sociali. Viene posta in evidenza la variazione della composizione di classe all’interno dei luoghi in cui agiamo (più del 70% dei lavoratori italiani non hanno un inquadramento classico all’interno delle residue strutture fordiste) ma contemporaneamente si mette in evidenza come in altri paesi (Cina, in generale i cosiddetti Brics) si assiste ad uno spaventoso fenomeno di concentrazione di figure operaie. In generale, la centralità della classe operaia a livello internazionale è un dato di fatto, sancito dai dati statistici. Uno dei punti di snodo dell’analisi sta in effetti qua. Anche ammettendo che la nuova figura del rivoluzionario europeo stia all’interno dei knowledge workers (ma nel libro di Formenti vi sono molti punti in cui questa ipotesi viene fatta saltare in aria molto facilmente) rimane comunque immutata l’idea di fondo che per un rinnovato pensiero antagonista sia impossibile dimenticare il dato internazionale. Semplificando all’estremo il discorso non si tratta di negare che per intere generazioni di utenti dei social network venga estratto lavoro e creato profitto attraverso un semplice uso quotidiano dei computer o delle tecnologie, si tratta anche di chiedersi chi costruisce quei computer (i lavoratori cinesi ne sanno qualcosa), chi e come estrae i materiali per avere connessioni sempre più in tempo reale (i minatori africani ad esempio). Per concludere, segnaliamo che molti degli argomenti trattati in questo libro sono al centro dell’analisi di altri autori sulla necessità di una ricomposizione di classe e sulla possibilità di far rinascere una rinnovata prassi comunista. Su questo Formenti non si sottrae e non ha paura a pronunciare la parola partito. Lo fa attraverso l’idea di provare ad immaginare un tipo nuovo di organizzazione, un partito federato ma inteso come soggetto di federazione delle lotte e non sicuramente come soggetto federale di micro strutture o di ambiti intellettuali. Questo partito di tipo nuovo è una scommessa che comunque ci sembra in questi tempi l’unica percorribile: scommessa che si basa tutto sulla possibilità di intervenire nei conflitti in maniera organizzata, con una linea politica conseguente. Se questo è il Partito siamo d’accordo con Formenti, se invece il Partito è la sommatoria delle lotte per risultare più attraenti per qualche elezione allora abbiamo più di un dubbio.