Cultura e classe

Giuseppe Muraca, L’integrità dell’intellettuale. Scritti su Franco Fortini, Verona, Ombre corte, 2022, pp. 122

Giuseppe Muraca, critico letterario e saggista ha diretto la rivista “L’utopia concreta”, ha collaborato a numerose altre riviste, ha pubblicato testi su Luciano Bianciardi, Piergiorgio Bellocchio e i “Quaderni piacentini”, il giovane Palazzeschi, in un interessante intreccio tra analisi letteraria e contestualizzazione storico- politica.

Il recente testo sulla figura di Franco Fortini (Firenze 1917, Milano 1994) denota un interesse, permanente negli anni, per questa figura originale e atipica nel panorama culturale italiano, per un saggista, traduttore, poeta, organizzatore culturale, in cui l’attività letteraria e l’impegno culturale si sono sempre legati a una profonda coscienza e ad una militanza politica, continuamente contro corrente.

Nato a Firenze nel 1917, di famiglia ebraica ed antifascista, esule in Svizzera, per breve tempo nella resistenza in Lombardia, nel 1944 aderisce al Partito socialista, dopo ascendenze azioniste. Dal primo libro in versi, Foglio di via, percorre mezzo secolo intrecciando impegno culturale e passione politica, spesso solitaria. Muraca ripercorre vari passaggi di questo percorso, iniziando dalla stagione del “Politecnico”, esperienza unica e irripetibile che tenta di svecchiare la cultura italiana, in una stagione di grandi speranze di rinnovamento politico, sociale e culturale. La polemica con il PCI, lo scontro Vittorini/Togliatti denota la giusta battaglia per l’autonomia della cultura, per il suo non asservimento a ragioni di partito, ma anche il rischio di astrattezza e di isolamento dell’intellettuale, come rivelano scritti dello stesso Fortini.

Dopo la fine del “Politecnico”, il suo impegno è quello di fondare una critica materialistica della letteratura, soprattutto contro lo storicismo crociano- gramsciano e la concezione nazional- popolare del marxismo. L’esempio più noto è la stroncatura di Metello di Vasco Pratolini, rappresentazione retorica di buoni sentimenti, interclassista e piccolo- borghese. L’opposizione allo stalinismo e allo zdanovismo è totale, senza alcuna tentazione per le avanguardie (sarà critico nei confronti del gruppo ’63).

Nodo fondamentale, come per tutta l’intellettualità di sinistra, è il 1956, con la denuncia di Stalin, gli scioperi polacchi, il dramma dell’Ungheria. Significativa la lirica 4 novembre 1956: Il ramo secco brucio in un attimo./Ma il ramo verde non vuole morire/Dunque era vera la verità/Soldato russo, ragazzo ungherese/non v’ammazzate dentro di me./Da quel giorno ho saputo chi siete: e il nemico chi è. Fortini recupera il suo socialismo antistalinista soprattutto nel fondamentale Dieci inverni, gli anni in cui un discorso di liberazione ed emancipazione è stato soffocato dalla cappa del dogma di partito e dalla fedeltà assoluta all’URSS (si veda in particolare il testo finale Lettera a un comunista). Dieci inverni non viene compreso e criticato duramente (Luciano Della Mea lo accusa di riproporre la dicotomia cultura/politica).

Negli anni immediatamente successivi il “marxismo critico” si divide, tra chi (Guiducci, Bobbio…) intende superare Marx e chi (Panzieri, Bosio, Montaldi, Cases) lavora per una “uscita a sinistra” dallo stalinismo. Fortini, senza partito dopo il 1958, è tra i padri culturali della “generazione del ’68”, per la sua partecipazione a riviste, “Ragionamenti”, “Officina”, “I Quaderni piacentini”, per la collocazione critica verso la sinistra storica (si ricordano il suo intervento provocatorio alla manifestazione contro la guerra in Vietnam- Firenze 1967- e le sue posizioni iconoclaste sulle manifestazioni resistenziali), per la polemica- rottura contro Pasolini.

Ancora, Muraca mette in luce l’attenzione verso Fortini, da parte di Attilio Mangano e passa in rassegna l’opera poetica, da Foglio di via (1946) a Composita solvantur (1994), che colloca Fortini tra le grandi voci della poesi novecentesca, con Sereni, Luzi, Roversi…) e l’opera saggistica, come testimonia la ricca bibliografia.

E’ impossibile non ricordare il pessimismo antropologico dell’ultimo Fortini, che, nel corso del 1994, vede l’avanzare inesorabile della malattia e l’affermarsi del berlusconismo, come malattia sociale e morale del nostro paese.

Sergio Dalmasso