Raffaele Sciortino: Appunti di ricerca sulla crisi da coronavirus (in progress)

Articolo pubblicato da Sinistra in rete 20 marzo 2020

Di fronte alla diffusione repentina del coronavirus ci sarebbe da indagare a fondo su cosa avviene in ambito sociale, il terreno principale della presa di coscienza delle modalità di funzionamento del sistema e dello sviluppo di eventuali scintille di mobilitazione. Ciò va visto nei due sensi: non solo come dall’alto viene o può essere utilizzata, a date condizioni, l’emergenza reale – ma anche come essa inizia a smuovere, in maniera drammatica come ogni vera crisi, le acque fin qui stagnanti di una società traumatizzata da dieci anni di crisi rimettendo in moto la testa della gente comune, non tutta disponibile a ricette neomalthusiane e a privilegiare l’economia sopra tutto.

Innanzitutto, andrebbe rivalutata una lettura “oggettivista” di quanto sta avvenendo, da riportare alle contraddizioni sistemiche, si diceva un tempo, del capitalismo globalizzato, comprensive di un rapporto a dir poco distorto con la natura. Dalla Cina che deve scontare una crescita iper-accelerata per recuperare un po’ rispetto ai paesi imperialisti e oggi si trova con un ambiente devastato e un sistema sociale e sanitario ai limiti.1 All’Occidente, al tempo di legami sociali allentatissimi, industrializzazione della vita ai massimi e sistemi sanitari privatizzati o semiprivatizzati: ne vedremo delle belle negli States se, come pare, dovesse diffondersi anche lì; in Italia l’atteggiamento iniziale dei governatori leghisti del nord, ma con dentro anche il progressista Sala di Milano non si ferma, è stato tutto in termini di difesa dell’economia veneto-lumbard, con l’appoggio dei gruppi di interesse economici e dei sindacati2, con perdita che potrebbe diventare secca di legittimità a favore addirittura del Pd (!), pur co-responsabile del sistema formigoniano, mentre la gestione da parte del “Partito del Presidente” finora non viene giudicata male da parte della gente, anzi, quanto alla stretta , dopo tentennamenti, verso il modello “cinese” di risposta al virus (cui ora sembra con un voltafaccia accodarsi parzialmente anche il mondo economico nella speranza che la Ue conceda ulteriore debito)3.

Fino alle situazioni intermedie “scoperte” come l’Iran sotto sanzioni criminali (ha aperto le carceri: lo faranno anche gli States?). Senza contare che l’Europa dal canto suo è con sempre maggior evidenza qualcosa di inesistente. Ha cercato di lucrare sulle disgrazie italiote, additandola come focolaio da isolare senza neppure pensare che prima o presto sarebbe arrivato negli altri paesi. È stato necessario l’intervento perentorio di Merkel e poi l’uscita rovinosa, ma convinta, dell’“americana” Lagarde con reazione determinata di Mattarella nel pieno delle tempesta dei mercati borsistici, ma soprattutto l’approssimarsi della crisi sanitaria nei paesi cuore della Ue, ancorché per nulla solidali tra di loro, per aprire i cordoni della borsa – come e a quali condizioni si vedrà. Al di là degli sviluppi a venire, si è trattato di un passaggio che nei fatti ha incrinato forse definitivamente la residua fiducia nella prospettiva europeista.

Una lettura oggettivista non significa dimenticare l’uso che può essere fatto della situazione di emergenza ma è bene evitare, almeno al momento, di accentuare l’elemento repressione-controllo (contro chi?! dove sono i movimenti e il conflitto oggi?!) a meno di voler dare una lettura “foucaultiana”. Che cosa possa essere in Italia uno “stato d’eccezione”, e quanto rispettato, lo si è visto con le ripetute, e irresponsabili4, fughe da Milano verso le regioni meridionali. Ciò peraltro si ricollega alla presa quasi incontrastata a sinistra delle letture soggettiviste, a volte sconfinanti col “complottismo” tanto vituperato nei confronti dei “populisti” (v. sotto breve, incompleta rassegna). Lo stesso uso da parte del potere – quale? In primis lo Stato? – va visto dentro un contesto complessivo, sociale, economico e geopolitico, e non in astratto.

Quanto all’elemento geopolitico, si staglia lo scontro Usa-Cina, di cui andrebbe evitata una lettura al modo dei complottisti. Del resto, se si è trattato di un episodio di guerra biologica (da non escludere in astratto ma difficile: potrebbe starci l’ipotesi di una fuga da un laboratorio cinese come un’operazione covert Usa, qualcuno ha parlato dei giochi militari mondiali di Wuhan come scintilla della diffusione causata da soldati statunitensi5, pare comunque sia che sia arrivato a Wuhan dall’esterno6) comunque il boomerang per Occidente e Usa non sarà, già non è da poco. Si tratta sicuramente di un brutto colpo per la Cina, non a caso fino a ieri a Washington si spellavano le mani: aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, con quel che vuol dire lì, e soprattutto immissione di credito statale per evitare che moltissime imprese medio-piccole falliscano a seguito della chiusura delle fabbriche, del mancato ritorno degli operai al lavoro, ecc. La Bolla inevitabilmente è destinata a gonfiarsi, e non è ancora detto che prima o poi non esploda, anche se l’evidenza degli ultimi giorni indica nelle Borse occidentali l’epicentro del nuovo melting down finanziario. Del resto i cinesi se ne sono ampiamente accorti: il segretario al Commercio Usa che afferma che così molte produzioni possono tornare a casa, il segretario di stato Pompeo che a Monaco (Conferenza per la Sicurezza) continua a battere verso gli “alleati” il chiodo che il nemico è Pechino. Mentre a Pechino credono di aver contribuito a bloccare la diffusione del virus anche per il mondo, questo è il ringraziamento. Resta che non è affatto scontato chi ne uscirà più malmesso, se l’Occidente – dove gli umori anti-cinesi sono coltivati in vivo – o la Cina, che sta mostrando notevoli capacità di gestione della crisi nonché di soft power verso l’estero (come si vede dagli aiuti all’Italia isolata: sarà poca cosa, ma intanto in Germania si fregano le mascherine destinate all’Italia e dagli Usa lasciamo perdere…)7.

Rispetto alla situazione economica, poi, potrebbe esserci l’innesco del secondo tempo della crisi globale: vedremo. Comunque andrà, non sarà liscia e cadranno o si allenteranno decisamente alcuni anelli della catena (con l’Italia seria candidata: l’evidente divaricazione tra regioni e tra queste e il governo centrale, segnale di quanto probabilmente avverrà in futuro, è il dato più eclatante, ma ritorna il rischio debito pubblico e, perché no, la prospettiva di una patrimoniale come “sacrificio per la ripresa”)8. Qui rientra anche la necessità di approfondire su automazione e digitalizzazione come passaggio di risposta capitalistica alla crisi.

In generale, è evidente che solo ad un’analisi superficiale il coronavirus può apparire uno shock esogeno, come dicono gli economisti, non solo in quanto il sistema economico globale era di nuovo sotto stress da parecchio tempo (guerra dazi Usa-Cina, caduta borse nel 2018 poi tamponata con iniezioni di liquidità delle banche centrali, segni di recessione in Giappone e Germania, enormi interventi sul mercato repo della Federal Reserve a partire da settembre 2019, ora anche guerra sul prezzo del petrolio, ecc. ecc.), ma anche perché l’intreccio tra crisi economico-finanziaria e sconvolgimenti ambientali è oramai un fattore chiaramente endogeno tanto più con l’industrializzazione crescente dell’agricoltura.9

Altro aspetto significativo, più immediatamente (a)sociale: una classe dirigente che oscilla paurosamente dietro sondaggi, tv show e social media dove si riversa pura merda, segno di quanto oramai, e chi sa se in Italia più patologico che altrove, la politica politicante dipenda da un circuito informativo impazzito. L'”informazione”, ancora una volta, mostra di aver perso qualunque positiva funzione sociale, anche solo a livelli minimi di coordinamento, coesione, ecc. Senza contare i bastoni tra le ruote messi qui da noi al governo (p.es. in occasione del decreto dell’otto marzo con lo scoop del Corsera). In generale la maggior parte dell’informazione si rivela inquinante, o in sé o per le modalità sensazionalistiche fatte apposta per disorientare e mandare in panico. Non si tratta per lo più di un piano, ma della logica fortemente concorrenziale del mercato di questa merce peculiare e pur tuttavia unificata solo nell’aspetto occidentalista. Ma qualcuno provi a dire che ci vorrebbe un controllo o almeno una limitazione che verrebbe immediatamente appeso come reo di lesa pluralità democratica.

Insomma, se ci fosse una seria tendenza “neopopulista” – un movimento tipo Gilets Jaunes10 adeguato ai “nuovi compiti”, e non istanze disperse e frastornate dagli scarsi risultati della prima fase del momento populista, oltre al clima generale di disorientamento e paura – sarebbe il suo momento, o quasi, salvo ovviamente l’eventualità della paralisi sociale dovuta a paura e impotenza, che non si può escludere del tutto come non si può escludere che alla fine ognuno pensi solo a salvare se stesso.

Qui torniamo alla questione delle reazioni sociali, anche solo come umori e rimessa in moto delle meningi. Temi come lo stato disastroso della sanità insieme, e non secondo un prima e dopo, alla percezione del montante clima neomalthusiano verso anziani e malati in genere in una parte ben definita della società; lo scontro tra visione economicista (subita obtorto collo anche da buona parte di chi vive del proprio lavoro, dipendente o “autonomo” che sia, ma con crescenti contraddizioni che peraltro hanno iniziato a manifestarsi con i primi scioperi spontanei in alcune fabbriche italiane, segnale molto importante sotto più aspetti) da un lato e privilegiamento della vita e della comunità dall’altro; riflessioni neanche tanto implicite su quale modo di vivere ci ha portati a questo punto, allorché l’arroganza occidentale deve subire su tutti i piani un serio colpo (tanto più significativo perché la campagna anti-cinese non l’ha potuto evitare, al dunque); la domanda se questo sistema di poteri “plurale” e “democratico” sia veramente al servizio della comunità quando serve effettivamente; il venir su della richiesta di un intervento statale, non solo in campo economico ma più in generale (che ovviamente non va frainteso come semplice richiesta di un “potere forte”, anche se in prospettiva potrebbe andare in quel senso, né come possibilità effettiva di un rinato keynesismo, come si crede a sinistra); la distinzione, che attiene a nodi profondi del rapporto tra riproduzione sociale e riproduzione sistemica capitalistica, tra bisogni “essenziali” e no; e altro ancora che si farà avanti – su tutto, il nesso tra produzione e distribuzione: cosa è essenziale produrre, come distribuirlo senza mettere a rischio la salute, ecc. – si tratterebbe di mettere a fuoco. Emerge così uno slittamento fondamentale: una situazione come l’attuale, tanto più se non risolvibile a breve, scava una fossa all’individualizzazione del rischio, essenziale nella costruzione delle identità nel neoliberismo, allo scarico cioè delle responsabilità sociali sul singolo isolato piuttosto che sul sistema, e ripropone, per quanto in termini drammatici, il nodo della costruzione di una responsabilità comune. Al contrario di quanto pensa e teme certa sinistra, in questa situazione sono, siamo costretti a rispondere non come il singolo ma come singoli al plurale – pena l’inefficacia dell’azione stessa – premessa, questo, di un possibile e non scontato nuovo corso sociale in controtendenza all’atomizzazione fin qui imperante. Esemplifica ciò la serie di scioperi spontanei nelle fabbriche italiane contro l’assenza di misure minime di sicurezza e la stessa prosecuzione del lavoro laddove non essenziale. Anticipata dalla protesta dei detenuti – cui nei fatti è stato detto: voi potete anche ammalarvi e, in fondo, morire, tanto siete un peso, siete sacrificabili, come sacrificabili sono gli operai pur di non fermare la produzione – quella operaia è da vedere non solo come sacrosanta difesa della propria salute ma anche come critica in atto di una classe imprenditoriale – ancorché non della forma impresa in sé, nucleo fondante del capitalismo – tutta fiondata sull’utile economico.11 (A fronte di ciò è chiaro che l’accordo tra imprenditori e sindacati ufficiali di sabato 14 marzo è un pannicello caldo, che pure non ci sarebbe stato senza spinta dal basso). Da qui risulta anche evidente che qualunque ripresa seria della conflittualità di classe sarà costretta a porsi su un terreno non economicista ma immediatamente sociale e potenzialmente politico, anche in relazione alla questione dell’utilità o meno, e per chi, della produzione capitalistica di beni e servizi.

Un approfondimento specifico meriterebbe poi la questione “generazionale”. Da un lato, si vede che cosa, in situazioni estreme come l’attuale – ma la realtà la si comprende spesso proprio negli estremi – questa società riserva agli anziani, sia a quelli dei cui risparmi e attività di cura ha ampiamente usufruito per attutire socialmente gli effetti della crisi globale nell’ultimo decennio, sia a quelli in situazione di bisogno e/o solitudine: la prospettiva di finire al fondo delle liste delle terapie intensive disponibili causa “minori aspettative di vita” (peraltro dopo aver chiesto loro di inseguire il feticcio della giovinezza a ogni età…). Dall’altro, si gioca – e lo si inizia a fare esplicitamente, almeno a vedere i discorsi social-darwinisti p.es. dei governi anglo-sassoni sugli scarti da lasciare gioco forza indietro, dove ovviamente nella dimensione generazionale è implicita quella di classe e razziale – sulla contrapposizione giovani/anziani (che ovviamente non va messa sul conto dei giovani! Che sono anzi i soggetti che forse più di tutti hanno pagato le conseguenze della crisi, condannati a un no future di fatto).12 Non è un discorso nuovo. A inizio anni Trenta Siegfried Kracauer già ne discuteva in relazione alla crisi abbattutasi sulla Germania (preda di lì a poco del nazismo, con la complicità dei governi democratici):

“questa idolatria della giovinezza ha il senso della fuga dalla morte… la morte e la vita sono intrecciate l’una con l’altra in un modo così profondo che non si può avere la seconda senza la prima. E dunque, se la vecchiaia è detronizzata la giovinezza ha vinto, ma ha anche perso la vita… Il modo economico dominante non vuol essere scrutato al suo interno, per questo la pura vitalità deve necessariamente vincere. L’eccessiva esaltazione della giovinezza è una rimozione non meno della svalutazione della vecchiaia che va oltre il necessario. Entrambi i fenomeni provano indirettamente che nelle condizioni economiche e sociali attuali gli uomini non vivono la vita”.

Notevole anticipazione di quanto avrebbe scritto Debord…

Su questo sfondo, tutt’altro che roseo all’immediato, l’attuale situazione prefigura confusamente lo scontro tra due partiti (in senso “storico”, non “formale”): quello economicista-neomalthusiano e quello (molecolare) che mette al primo posto salute, vita, comunità senza che si sappia al momento come articolarle al sistema nel suo insieme. Sullo sfondo di ciò che si configura come una vera e propria crisi della civiltà capitalistico-industriale.

Si ripresentano in un contesto nuovo temi, problemi e financo forme espressive emersi con la prima fase del neopopulismo.13 Ma, forse, con uno slittamento significativo, almeno potenziale: mentre nella “prima fase” lo scontro è stato tra globalisti e populisti-sovranisti, l’attuale crisi (tutt’altro che solo sanitaria) nel mentre rimette in campo la necessità di contenere gli effetti più disastrosi della globalizzazione con misure anche dure a scala nazionale (e non regionale!), al contempo rende evidente che la scala decisiva delle questioni è quella internazionale. Con uno spostamento ulteriore dal piano prevalentemente politico del cittadinismo (corrotti contro meritevoli, ecc.) a quello del funzionamento della società. Che cosa ne verrà fuori non lo può preventivare nessuno, ma uno spiraglio di raccordo, né reazionario né “progressista”, tra i due piani forse si potrebbe aprire. Come neppure una guerra di tutti contro tutti può essere esclusa. Questo è però un elemento di riflessione da precisare e approfondire. Siamo ancora all’impostazione del quadro complessivo che va ad aprirsi.

Il punto centrale è, in prospettiva, la possibilità di una presa d’atto da parte di ampie masse della crisi della riproduzione sociale: quali che siano le forme immediate in cui si darà, ovviamente confuse e contraddittorie, senza un passaggio di questo tipo non c’è nessuna possibilità di uscirne in avanti. Se il capitalismo è, in ultimissima istanza, produzione per la produzione (di valore, non di beni d’uso, e oggi dovremmo aggiungere: di capitale fittizio), il comunismo possibile – che dato il corso storico del movimento di classe non si chiamerà più, con tutta probabilità, così – è produzione per la riproduzione umana e naturale. Che tutto ciò avvenga attraverso catastrofi, economico-sociali e ambientali, sta nelle cose, ed è ciò che terrorizza tutti stante il livello di autodistruttività oramai acquisito da questo sistema.

Se, come molti iniziano a intuire, la situazione non si risolverà tanto in fretta, e anzi si estenderà a tutto l’Occidente – con fortissimi effetti economici e geopolitici: di nuovo, ne uscirà meglio la Cina tacciata di essere una “dittatura” o l’approccio occidentale? Inoltre, come reagirà la Cina post-virus per ovviare alla situazione disastrosa del suo welfare? E dove prendere le risorse se non tagliando i sovraprofitti occidentali dati i margini scarsissimi delle imprese locali? Come si ripercuoterà tutto ciò sullo scontro con gli States? – la palude in cui stagniamo verrà inevitabilmente scossa.


Letture in circolo, perspicue senza bisogno di particolari commenti:

Articolo interessante:

https://climateandcapitalism.com/2020/03/11/capitalist-agriculture-and-covid-19-a-deadly-combination/ di un biologo, Rob Wallace, per la rivista socialista tedesca Marx21 sul nesso con l’industrializzazione crescente dell’agricoltura e qualche accenno anche alla questione migrazioni (che l’intervistatore non pare in grado di cogliere). L’ipotesi di Wallace è ripresa, e ben argomentata, anche nell’articolo del collettivo cinese Chuang: https://pungolorosso.wordpress.com/2020/03/12/contagio-sociale-guerra-di-classe-micro-biologica-in-cina/. I punti deboli di questo articolo risiedono piuttosto nell’interpretazione degli eventi in termini di contro-insurrezione preventiva dello stato: di insurrezioni in Cina non se ne vedono al momento, e neppure di segnali che le preparino. Per di più essa verrebbe messa in atto da uno stato che gli autori stessi ritengono incapace persino di condurre una politica unitaria sull’intero territorio cinese. Inoltre non c’è alcuna consapevolezza dell’imperialismo: Cina e Usa sembrano, per gli autori, due soggetti alla pari, ragion per cui la lotta del proletariato cinese contro il capitalismo è vista come semplice lotta contro il proprio stato.

Per finire con le osservazioni critiche su questo articolo peraltro meritorio, gioca in questo tipo di approccio – tipico di una sinistra radical diffusa internazionalmente – anche l’interpretazione (postmodernista e social-costruzionista) dell’epidemia in termini esclusivamente sociali (che invece non sembra propria di Wallace): in ultima istanza è così ma ciò non toglie che il meccanismo di aggressione agli umani è naturale, biologico, e tale appare alla popolazione fino a quando non si affermerà in significativi strati la coscienza della natura, appunto, sociale capitalistica del fenomeno (che per ora traspare, al massimo, nei termini, comunque promettenti, della lettura degli effetti dell’epidemia a partire dalle mancanze del sistema sanitario, ecc.), coscienza che sola potrebbe spostare il confronto sul piano della lotta di classe.


Note

1V. https://pungolorosso.wordpress.com/2020/03/12/contagio-sociale-guerra-di-classe-micro-biologica-in-cina/. Le riserve che possono essere avanzate contro alcuni aspetti di questo approccio sono riportate qui in fondo, nella rassegna.

2Landini, segretario della Cgil già “addomesticato” (come si è visto sulla questione Tav) dichiara a La Stampa il 29 febbraio che “Stare fermi vuol dire assumersi la responsabilità di mandare il Paese dritto verso la recessione… dobbiamo, con grande calma e responsabilità, applicare fino in fondo tutte le misure di sicurezza indicate dagli organismi sanitari internazionali, ma dall’altra bisogna gradualmente andare verso la riapertura di tutte le attività, dalle scuole ai cinema ai teatri… in questo momento il problema è pensare alle azioni da mettere in campo per rilanciare il Paese a partire dalla qualità del lavoro e degli investimenti… Certi provvedimenti presi in Regioni in cui non c’è nemmeno un caso, la chiusura delle scuole e altro sono stati errori gravissimi. Il fatto che Cgil-Cisl-Uil, insieme a tutte le associazioni imprenditoriali di tutti i settori, abbiano deciso di lanciare quell’appello…” (https://www.lastampa.it/economia/2020/02/29/news/maurizio-landini-riavviare-tutte-le-attivita-poi-un-piano-d-investimenti-1.38530174). Ovviamente anche i sindacati hanno poi fatto un voltafaccia di fronte ai primi scioperi spontanei nelle fabbriche.

3V. https://www.corriere.it/esteri/20_marzo_09/coronavirus-wuhan-nuovi-casi-6b1bdccc-61eb-11ea-9897-5c6f48cf812d.shtml.

4Ancorché comprensibili date le condizioni di solitudine in cui vive chi proviene dal Sud e che sarebbero non sostenibili in caso di malattia.

5https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-china-usa/china-government-spokesman-says-us-military-may-have-brought-virus-to-china-idUSKBN20Z196.

6V. https://www.globaltimes.cn/content/1180429.shtml .

7V. https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/8218/.

8V. https://www.marketwatch.com/story/italy-will-need-a-precautionary-bailout-a-financial-firewall-as-coronavirus-pushes-it-to-the-brink-2020-03-10.

9V. https://climateandcapitalism.com/2020/03/11/capitalist-agriculture-and-covid-19-a-deadly-combination/.

10V. https://www.sinistrainrete.info/politica/14578-nicola-casale-gilets-jaunes-lotta-di-classe-neo-populismo-sovranismo.html.

11Sarebbe interessante differenziare le situazioni: quelle di piccole e medie imprese i cui prorietari sono ancora legsti a comunità territoriali alle quali devono in qualche modo rispondere; quelle di imprese medie legate a filiere globali e deterritorializzate; quelle residue di grande dimensioni che possono fare qualche concessione alla forza-lavoro tramite accordi con i sindacati della triplice.

12) A questo terreno di contrapposizione non sfugge, o rischia di non sfuggire, neanche chi da sinistra inizia ad agitare pulsioni giovaniliste contro le “libertà di movimento” coartate dalle misure anti-virus: v. https://www.globalproject.info/it/in_movimento/dalli-alluntore-o-del-ritorno-della-colonna-infame-ai-tempi-della-quarantena-digitale/22624. Tanto più subdolo questo discorso quando tutti sanno che la socialità dei “giovani compagni” allo stato non è affatto meno alienata di quella della restante gioventù: un po’ meno di presunzione ci starebbe, come onestamente riconosce questo post: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=119094336349037&id=100047454134688&sfnsn=scwspwa&extid=trayP4Frpwy6uX1M.