Genova e la solidarietà con la Palestina che resiste

 

HPIM1849E’ quasi un mese da quando ha avuto inizio la nuova operazione militare israeliana contro la Striscia di Gaza. “Protective Edge” (Margine di Sicurezza) è stata presentata pubblicamente come la rappresaglia e la punizione collettiva per il rapimento di tre coloni israeliani di cui inizialmente e senza alcuna prova il governo israeliano aveva accusato Hamas, per ammettere successivamente che circa le responsabilità del rapimento non si ha alcuna certezza ma che certamente in esso non è stata direttamente coinvolta Hamas.

L’operazione militare israeliana ovviamente era stata messa in cantiere già da mesi dal governo sionista guidato da Netanyahu: si aspettava solo il momento propizio per iniziarla.

La posta in gioco israeliana, stavolta, è evidentemente quella di chiudere la partita con la parte di popolo palestinese che abita nella Striscia di Gaza, di piegare la Striscia attraverso un genocidio, occuparla e metterla definitivamente sotto diretto controllo dello Stato israeliano, con i notevoli vantaggi economici ( su questo cf. http://www.osservatorioglobale.it/lassalto-israeliano-gaza-mira-controllare-gas-palesinese-soluzione-crisi-energetica-per-israele/ ) che tutto questo porterà al governo israeliano, ripagandolo della perdita di prestigio e dei danni economici che l’ennesima guerra da esso suscitata gli porterà a livello internazionale.

Oltre a ciò, la decisione di iniziare un’operazione di questa portata e di portarla a termine a qualsiasi costo è diventata essenziale per il governo sionista quando si è profilato all’orizzonte l’accordo di governo tra Fatah e Hamas: un accordo politico che avrebbe rafforzato l’unità palestinese e il fronte della Resistenza al Sionismo. In tutto ciò, non va scordato l’orizzonte internazionale complessivo in cui la guerra scatenata da Israele si inserisce. Infatti è nella situazione internazionale complessiva che si trovano le condizioni di possibilità di un’operazione militare di questo calibro, condotta contro la popolazione civile con modalità di tale efferatezza e determinazione. In Ucraina da mesi le potenze imperialiste occidentali, Usa e Ue, appoggiano il governo golpista, insediatosi a Kiev questo inverno e sostenuto da forze apertamente nazifasciste, nella guerra contro le Repubbliche popolari del Sud Est che si sono date una costituzione autonoma, dichiaratamente antifascista, socialista e popolare e vogliono separarsi dal governo filooccidentale e filonazista di Kiev.

In Medio Oriente, l’Iraq è di nuovo attraversato da una guerra ad alta intensità con la creazione di un’entità politica autonoma, il cosiddetto Stato Islamico del Levante, baluardo dello jihadismo islamico reazionario, rispetto al quale gli Stati Uniti hanno assunto una posizione a dir poco ambigua, contando probabilmente di riuscire ad utilizzare le forze reazionarie islamiche per i propri scopi, ossia come forza di pressione nei confronti dei governi nemici dell’Iran e della Siria.

La Libia, dove la coalizione occidentale sotto l’egida della Nato, ha provocato tre anni or sono un colpo di stato rimuovendo il Colonnello Gheddafi, è diventata terra di nessuno, dove fazioni politiche armate e fuori controllo si combattono quotidianamente e le multinazionali occidentali cercano di accaparrarsi le risorse disponibili dovendo però fare i conti con l’anarchia militare in cui il paese è piombato.

Insomma una situazione internazionale dove la tendenza alla guerra è sempre più evidente.

Il fronte imperialista occidentale che per un lungo periodo ha colpito unito per poi marciare separato, perseguendo ciascuna potenza i propri interessi economici e politici specifici dentro i diversi scenari di guerra, comincia ad incontrare le prime difficoltà, perché la crisi ha mutato gli equilibri politici internazionali determinando l’emergere di nuove potenze internazionali in chiara contraddizione con il blocco imperialista occidentale e soprattutto in grado di contrapporglisi.

Lo scontro interimperialistico evidentemente si acuisce di giorno in giorno.

Dentro tale scenario, lo stato imperialista d’Israele non poteva rinunciare a fare la sua giocata e a provare a mettere a segno il suo colpo e lo ha fatto con la determinazione imperialista che lo contraddistingue.

Da quando è cominciata questa tremenda e devastante operazione bellica, che va ricordato ogni volta ha come bersaglio la popolazione civile e in quanto tale rappresenta il massimo della barbarie che l’imperialismo è in grado di produrre, abbiamo assistito al silenzio complice di tutti i governi europei, in primis quello italiano che in questo momento ha anche la carica della Presidenza europea. Un silenzio molto eloquente, da cui è trapelato chiaramente l’appoggio incondizionato della UE allo Stato d’Israele. Nel nostro Paese, l’informazione priva di qualsiasi autonomia e professionalità sta svolgendo il lavoro sporco per il Governo: infatti, oltre a nascondere il genocidio e i crimini di guerra che l’esercito israeliano sta compiendo a Gaza, manipola quotidianamente le notizie per creare un immaginario che renda legittima l’operazione criminale e nazista di Israele. Dopo anni in cui siamo stati abituati a sentire condannati dai politici e dalla stampa nostrana, i dittatori e i governi contro cui bisognava andare a fare le operazioni umanitarie perché illiberali, autoritari, perché sessisti, perché colpevoli di calpestare i diritti umani, ecco che oggi di fronte alla più crudele e barbarica violazione del diritto internazionale e dei cosiddetti diritti umani, non una parola si è levata contro Israele. Il re è nudo! E con lui, tutti “i sinceri democratici” che in questo Paese sono sempre pronti ad indignarsi contro le violazioni dei diritti umani, ma solo quando questi sono direttamente proporzionali ai profitti che si andranno a fare nel Paese oggetto dell’operazione “umanitaria” di turno.

Di fronte a questo, in tutto il mondo c’è una grossa parte di popolazione che sta prendendo parola, che scende in piazza per rompere il silenzio e dimostrare la sua opposizione alle politiche imperialiste, la sua solidarietà internazionalista con la Resistenza palestinese. In tutto il mondo, centinaia di migliaia di persone stanno scendendo in piazza da un mese a questa parte.

Tuttavia migliaia e non milioni, tuttavia, al di là delle attestazioni di solidarietà, non si registrano episodi di appoggio diretto alla Resistenza palestinese. Manifestazioni spontanee di dissenso, di rabbia, di solidarietà ma prive di un pensiero politico – strategico adeguato alla posta in palio in atto. Tante lotte, nessuna strategia.

In tutta Italia si susseguono i presidi e i cortei ma non si è in grado di incidere e di farlo oltre la dimensione locale. Qui a Genova, insieme a molte altre forze comuniste, a gruppi di appoggio alla causa palestinese, insieme alla comunità araba nelle sue diverse sfaccettature e ad alcune associazioni abbiamo organizzato già tre momenti di piazza, cui ne continueranno a seguire degli altri. Un primo corteo, chiamato pochi giorni dopo l’inizio dell’operazione, che ha visto la partecipazione di circa 200 persone, prevalentemente giovani arabi e immigrati insieme ai compagni, che hanno sfilato per i vicoli del centro in maniera determinata e comunicativa scandendo slogan e controinformando la cittadinanza su quanto sta avvenendo per oltre tre ore. Il secondo corteo, la settimana successiva, che ha visto la partecipazione di oltre trecento persone, sotto una pioggia insistente, ha sfilato fin sotto la prefettura, per poi concludersi in Piazza Caricamento con un momento di informazione da Gaza e con un momento di condivisione serale con la cena del Ramadan in piazza, organizzata dalla comunità islamica genovese insieme ai gruppi politici promotori del corteo. L’ultimo momento di piazza, la settimana ancora successiva, seppure con un calo della presenza militante, ha visto un centinaio di persone portare la propria rabbia e la denuncia politica sotto le sedi dei giornali cittadini che volutamente hanno taciuto sulle manifestazioni precedenti. Un corteo si è nuovamente snodato tra le vie del centro per comunicare con la città, per rompere il muro del silenzio e dell’indifferenza.

In tutte queste occasioni, qui a Genova, ha spiccato l’assenza di una partecipazione massiccia e attiva, o l’organizzazione di altri momenti politici oltre a questi, da parte del variegato movimento antagonista presente in città mentre, al contrario, è emersa la determinazione e la consapevolezza antimperialista dei giovani della comunità araba e dei giovani immigrati.

In ogni caso, ci sembra che non solo la mobilitazione genovese ma la mobilitazione in corso in tutto il Paese meriti qualche riflessione politica. Il dato lampante è che non si riesce ad andare oltre la spontaneità e l’urgenza di rispondere con la presenza in piazza a quanto sta avvenendo in Palestina. Andare oltre, ma dove? Sicuramente quanto in corso avrebbe meritato una risposta nazionale, una grande manifestazione per andare sotto le sedi di chi decide sulla guerra in corso. Sicuramente la rabbia contro l’informazione complice e asservita degli organi della stampa nazionale avrebbe potuto essere espressa in maniera molto più efficace ed eclatante di un paio di occupazioni di sedi di giornale e di qualche presidio di protesta. Per non parlare della necessità di organizzare azioni per contestare la presenza diretta, commerciale e militare, di Israele in Italia, di riuscire a fare controinformazione e parlare con la gente comune di quanto sta avvenendo, di contrapporsi efficacemente alla violenza espressa dai gruppi sionisti nel nostro Paese.

Una simile capillarità di azioni, capace di portare a risultati efficaci nell’appoggio diretto al popolo palestinese che lotta e resiste, per darsi ha bisogno di un discorso politico efficace e coerente sulla natura del sistema capitalistico, sull’attuale fase imperialista, sull’inevitabile tendenza alla guerra che lo contraddistingue e sulla forma determinata che la guerra assume. Un discorso politico e quindi una linea politica, capaci di dare forma ad un’organizzazione politica in grado di assumersi i compiti che il presente impone.

La rabbia, l’odio, soffrire ogni giorno con il popolo palestinese massacrato e con tutti i proletari che nel mondo pagano sulla propria pelle la violenza e l’oppressione imperialista, purtroppo non basta a cambiare le cose o ad asciugare le lacrime di qualche fratello oppresso. Quello che serve è un’organizzazione in grado di assumersi i compiti che la lotta contro l’imperialismo impone e perché questa veda la luce serve la costruzione di un discorso e di una linea politica in grado di leggere complessivamente l’orizzonte politico internazionale plasmato dalla crisi sistemica mondiale del sistema capitalistico. La prima cosa perché questo sia possibile, a nostro avviso, è individuare nella tendenza alla guerra, necessariamente insita nel dinamiche del capitalismo in crisi, il nodo principale da affrontare. La guerra imperialista e le sue conseguenze catastrofiche sono sempre più all’ordine del giorno. I suoi riflessi sono anche qui: anche dentro i paesi occidentali si combatte una guerra contro la popolazione subalterna, una guerra sicuramente a bassa intensità, per ora senza bombe, ma con la stessa finalità: sottomettere e disciplinare i corpi da mettere a lavoro per estrarre profitto, ridurre gli spazi di libertà, abbassare le condizioni e il tempo di vita degli sfruttati. Perciò assumere la tendenza alla guerra, quella vera fatta dai padroni contro i subalterni, dagli imperialisti contro i popoli colonizzati, come nodo centrale del discorso politico è in questo momento il passo essenziale da compiere, per rimettere insieme un fronte unitario e organizzato di resistenza e di lotta contro il capitalismo e l’imperialismo. Gli effetti disastrosi della mancanza di discorso politico, di una teoria forte e quindi di un’organizzazione politica sono sotto gli occhi di tutti quelli che quotidianamente stanno portando nelle piazze di questo Paese la propria rabbia e la propria solidarietà al popolo palestinese, sono sotto gli occhi di tutti coloro che si rendono conto della barbarie terrificante che sta avvenendo a Gaza oggi. Come collettivi della Rete Noi Saremo Tutto rimettere al centro il discorso politico sulla guerra imperialista, sulla conquista del potere politico da parte delle classi subalterne, sulla necessità di costruire un’organizzazione di classe antimperialista è il compito che ci diamo sia nel lavoro quotidiano, sia nella costruzione di una prospettiva politica più ampia. Ci sembra che quanto sta avvenendo chiami urgentemente tutti i compagni ad una riflessione e alla scelta di mettersi in condizione di fare passi avanti per uscire dallo stato di debolezza e minorità in cui ci troviamo al momento.