Un programma politico di classe per Genova

Programma politico per la città a questo link

A lato i dettagli del programma per aree tematiche

Quello che troverete qui non è un programma elettorale per le elezioni comunali. E’ un programma politico per la città. La precisazione ci pare importante perché da il segno della priorità del nostro agire politico. Non siamo pregiudizialmente contro le elezioni o le liste, sappiamo che a livello locale si giocano battaglie politiche decisive: gli enti locali come i Comuni sono il luogo dove gli eletti e i governi applicano direttamente sulla pelle dei cittadini le direttive che a cascata partono dai burocrati UE, passano per i Governi nazionali e arrivano ai cittadini e ai lavoratori. Negli enti locali sarebbe possibile lavorare per bloccare un anello fondamentale nell’applicazione delle politiche di austerità. Non ci è quindi indifferente chi andrà a governare e, se è possibile, siamo disponibili a valutare come agire per ottenere il massimo risultato. Un risultato che comunque non sarà mai solo un risultato elettorale ma dovrà essere un risultato politico. Per ottenerlo non è sufficiente lavorare in una lista o in una coalizione, anzi e in particolare negli ultimi anni, questo è risultato spesso essere dannoso perché confonde la politica con la rappresentanza elettorale: una delle malattie più diffuse della sinistra italiana.

Oggi, la vecchia sinistra radicale è un feticcio del passato che va accantonato perché si è quasi totalmente trasformata in un comitato elettorale che si risveglia puntualmente a ogni tornata amministrativa in cui spera di recuperare un consenso sociale che ha perso in anni di distanza da ogni lotta e mobilitazione reale. Conta poco il modo in cui si presenta davanti agli elettori o la eventuale buona fede di alcuni compagni e compagne che ancora ci credono. Anche quando è costretta a ricercare autonomia dai poteri dominanti è in realtà una sua emanazione politica di fatto che usa gli stessi metodi e gli stessi linguaggi parlando alle stessi classi sociali, regalando al qualunquismo e alla destra le classi subalterne. Molto spesso la sua condizione di subalternità è tale da rendere assolutamente naturale il ruolo di ancella del Partito Democratico visto come influenzabile e comunque l’unico in grado di garantire un minimo di eletti che rappresentano solo se stessi o alcuni poteri in cerca di finanziamento pubblico. Questo tipo di rappresentanza non solo non ci interessa ma è dannosa in quanto svolge un ruolo di copertura nei confronti del PD, il vero partito da abbattere. Non da oggi, ma da anni, questo partito è il rappresentante unico di quella politica di austerità e di ristrutturazione neoliberista imposto dai trattati UE. La sua intercambiabilità con il centrodestra è totale. L’unica differenza è legata ai diritti di cittadinanza che non hanno ricadute economiche. E’ una differenza importante e fondamentale (la cui applicazione va garantita e salvaguardata da ogni forma di rigurgito razzista o reazionario) ma non altera di un millimetro il segno di una politica di classe in cui lo strapotere dei padroni è garantito. L’unica novità potrebbe essere il movimento 5 stelle la cui natura è comunque tutta da decifrare come raccoglitore, spesso in maniera confusa, di istanze di cambiamento sacrosante e reali che però possono andare in direzioni contrapposte.

In questo panorama spicca l’assenza di una sinistra di classe reale se non in forma caricaturale o in grado di fornire semplice testimonianza della propria marginalità. Se questa vuole rinascere deve quindi innanzitutto ricominciare dalla società e non dalle urne. In questo senso il nostro programma assume per noi un ruolo fondamentale. E’ diviso in capitoli su singoli argomenti. E’ volutamente semplice, in alcuni casi è circostanziato con numeri e conti precisi, in altri vuole essere da stimolo per far comprendere a cittadini e lavoratori che una politica di segno diverso è sempre possibile. Nei vari capitoli c’è un punto ricorrente: le risorse, anche in situazioni di crisi, ci sono. Il problema è come le si usa e a vantaggio di quali soggetti. Chiunque si ponga il problema di governare dovrebbe occuparsi di questo: i soldi devono aiutare mafie e padroni oppure essere impiegate a favore dei ceti popolari? Oppure dovrebbe chiedersi a chi giova la politica delle privatizzazioni e se questa non sia un regalo alle banche e ai gruppi privati e un danno verso lavoratori e utenti. Dovrebbe chiedersi a chi giova un enorme patrimonio immobiliare pubblico sfitto quando ogni giorno cittadini e lavoratori subiscono sfratti per morosità o si dissanguano con affitti che si mangiano metà dello stipendio. E’ vero che governare sotto il cappio dei trattati UE o dei patti di stabilità è difficile ma, proprio per questo, sarebbe necessario far valere una posizione politica di rottura che svolga effetto domino positivo verso altre iniziative di resistenza.

Le nostre proposte sono quindi proposte per una mobilitazione innanzitutto sociale. Sono strumenti ragionevoli per interagire con una popolazione che comunque ha sempre bisogno di idee concrete e realizzabili. Sono un contributo alla realizzazione di una rete di resistenza a politiche criminali e che si ponga anche, come prospettiva da raggiungere, il problema di strappare il governo della città al PD e alla destra progettando politiche a favore dei lavoratori. Sono idee senza copyright politico. Chi le vuole usare come strumento politico lo può fare. Se la differenza tra una politica a favore di lavoratori e sfruttati e una politica criminale dettata da banche e padroni assume importanza nel dibattito cittadino e non solo tra i militanti, non potremo che rallegrarci del risultato ottenuto. Per il momento questa è comunque la linea su cui ci muoveremo nelle lotte: la nostra idea di Genova città antifascista, antirazzista, dalla parte dei lavoratori, internazionalista. La nostra idea di Genova città ribelle…

1) AMT: servizio pubblico e gratuito

Il tentativo di privatizzare l’azienda di trasporti AMT è stata portata avanti fin dall’inizio dalla Giunta Doria. Attualmente l’azienda rimane pubblica grazie alle lotte dei lavoratori e dei cittadini. La privatizzazione sembra un desiderio imposto dai partiti come il PD che rappresentano l’anello di congiunzione tra il governo locale, quello nazionale e le direttive UE. La privatizzazione è però inutile e dannosa per i lavoratori e i cittadini. Occorre però che il servizio di trasporto sia reso efficiente, che venga rinnovato il parco mezzi e che le tariffe siano rimodulate a favore delle fasce più deboli. Di seguito le nostre proposte:

a) No alla privatizzazione del servizio di trasporto. Occorre recepire alla lettera il valore del referendum per i servizi pubblici che a stragrande maggioranza ha stabilito che acqua e servizi devono essere gestiti in modo pubblico e partecipato

b) Il debito di AMT non dipende dal costo del lavoro ma dai tagli dei trasferimenti governativi. Nel debito di AMT una parte è poi dovuta a politiche dissennate delle giunte precedenti, al gran numero di manager impreparati e super pagati. Il debito non dipende dall’evasione tariffaria in quanto il ricavo da biglietti e abbonamenti copre solo una piccola parte del bilancio

c) Il servizio pubblico di trasporto a Genova è fondamentale data la conformazione della città. Avere un servizio frequente ed efficiente migliora la qualità dell’ambiente, la salute dei cittadini e rende fruibile la viabilità cittadina. Il servizio serve soprattutto agli anziani, agli studenti e ai lavoratori a basso reddito ma è comunque un servizio di cui beneficia l’intera collettività

d) Il servizio come tale ha bisogno di essere gestito senza profitti di esercizio perché risponde a un criterio di utilità irrinunciabile. Per questo occorre aprire un contenzioso con il Governo Centrale per far aumentare i finanziamenti statali unendosi ad altri enti locali che rifiutano di applicare il Patto di Stabilità e lei direttive dei trattati UE

e) Le fasce più deboli (anziani, lavoratori e studenti a basso reddito, disoccupati) devono poter viaggiare gratuitamente. In prospettiva è possibile immaginare un servizio pubblico totalmente gratuito introducendo una piccola tassa per tutti i contribuenti di Genova divisa in base al reddito. Secondo calcoli recenti, l’intero contributo del biglietto e degli abbonamenti si potrebbe pagare con soli 15 euro mensili medi. Da questa tariffa potrebbero essere dispensate le fasce a basso reddito e avere quindi un servizio di trasporto totalmente gratuito per tutti

f) Per diminuire il contributo dei cittadini si può anche pensare a un contributo privato richiesto alle aziende e ai centri commerciali che vengono raggiunti (e fanno profitti) soprattutto attraverso il trasporto pubblico (questo sistema è già attivo in varie zone del Sud della Francia)

g) Il servizio pubblico gratuito non è un’utopia. Per anni Bologna e altre città lo hanno avuto, il Comune di Livorno lo sta ipotizzando cominciando dalle corse serali e notturne. Intere città come Sidney hanno servizi di trasporto gratuiti

h) Perché favorire il trasporto pubblico: perché è un servizio fondamentale per garantire la mobilità per le fasce meno abbienti, perché permette di raggiungere facilmente periferie e zone collinari, perché aumenta la qualità dell’ambiente e la vivibilità cittadina per tutti diminuendo il traffico privato

i) Nuove regole per la mobilità pubblica: occorre potenziare le corsie preferenziali introducendo regolazioni sui semafori in modo da favorire la mobilità pubblica e collettiva. Ciò comporterebbe diminuzione dei tempi di percorrenza, risparmio di carburante e qualità ambientale

l) Conclusione

Il servizio pubblico di trasporto deve essere considerato come un bene comune e sottratto alla logica del profitto. Per questo AMT deve rimanere pubblica e gestita da Comune (in funzione di ente di controllo e azionista), lavoratori e cittadini. I manager devono essere scelti in base a competenze e devono essere revocabili in ogni momento. Il servizio deve essere di tutta la collettività. Le fasce più deboli devono aver garantito il diritto alla mobilità attraverso servizi gratuiti che possono essere estesi a tutti attraverso un piccolo contributo (comunque molto inferiore alla spesa attuale per abbonamenti o biglietti che ricade solo sugli utenti). Il Comune deve essere in prima fila contro la diminuzione dei contributi statali ed unirsi ad altri enti locali nel rifiutare le norme sui patti di stabilità e nel rifiuto delle direttive UE sulla svendita del patrimonio pubblico.

2) No al terzo valico e alle grandi opere

I lavori del Terzo Valico ferroviario sono stati cominciati con finanziamenti fino al terzo lotto. Ad agosto 2016 il governo ha deciso di finanziare il quarto con i Fondi per la Coesione e lo Sviluppo (FSC) per ulteriori 1,6 miliardi di euro. Il contractor COCIV potrà continuare i lavori in attesa della firma formale del nuovo protocollo tra il Governo e le Ferrovie (RFI). L’intera opera ha un costo presunto di 6,2 miliardi di euro che il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) gestisce a lotti con l’avanzamento dei lavori. I soldi sono ricavati sostanzialmente da Fondi Europei che il Governo destina a seconda dei propri voleri e delle priorità scelte.

Siamo circa a un terzo dello stanziamento economico pubblico preventivato (ammettendo che i costi non lievitino come è probabile) per un’opera che abbiamo sempre definito inutile e dannosa. E’ inutile ricordare come vi siano previsioni di traffico merci che assolutamente non giustificano la creazione di una nuova tratta ad Alta Velocità, le infiltrazioni mafiose già emerse in varie indagini, la devastazione ambientale già in atto nelle zone attraversate etc… L’opera è sostenuta da un ampio fronte politico e imprenditoriale. Il centrosinistra genovese e la Giunta Doria lo considerano fondamentale. Riteniamo che ci sia ancora spazio per l’abbandono dei lavori e per il recupero dei fondi ancora da stanziare: per fare questo occorre che, innanzitutto, il Comune di Genova dimostri la propria contrarietà e si schieri con il fronte contro il Terzo Valico. La destinazione dei fondi pubblici viene decisa dal Governo che non può non tener conto del giudizio degli enti locali. Per questo riteniamo il Sindaco Doria e la Giunta Comunale, così come le Giunte Regionali Burlando e Toti complici di un disastro inutile e della sottrazione di fondi ai cittadini. Con i soldi risparmiati per il Terzo Valico si potrebbero finanziare molte altre cose: trasporti pendolari, recupero patrimonio abitativo, trasporto pubblico, raccolta rifiuti, manutenzione del territorio. Se proprio si ritiene strategico aumentare la capacità nel trasporto merci tra la Liguria e la Pianura Padana si potrebbe intervenire aumentando la capacità dei 5 valichi liguri già esistenti già ora più che sufficienti.

Tutti questi interventi, oltre a criteri di utilità sociale, creerebbero molti più posti di lavoro del terzo valico, migliorerebbero la viabilità cittadina per chi lavora e studia, renderebbero più semplice garantire una casa a canone calmierato, risanerebbero i bilanci delle aziende pubbliche migliorandone l’efficienza. Sarebbero cioè soldi pubblici restituiti ai cittadini e ai lavoratori e non regalati a mafie e imprenditori.

Lo stesso principio deve valere per opere come la Gronda di Ponente, le speculazioni sulla fascia portuale come il Blue Print o il Nuovo Galliera.

3)Gestione pubblica dei rifiuti e raccolta differenziata

Il Comune di Genova, ribadendo una volontà espressa fin dall’inizio del mandato dalla Giunta Doria, si appresta a vendere AMIU ai privati. Il progetto prevede la cessione di una quota del capitale a IREN che controlla da privato l’acqua pubblica in spregio al risultato referendario contrario alla privatizzazione dei beni comuni e favorevole alla ripubblicizzazione del servizio idrico. Il Comune di Genova segue quindi fedelmente le indicazioni dei Governi nazionali e del PD: indicazioni più volte espresse dall’Unione Europea in riferimento alla necessità di privatizzare tutto il settore pubblico residuo. AMIU è pagata da tutti i cittadini genovesi con una tariffa obbligatoria: i buchi di bilancio e i disservizi sono quindi da imputare totalmente alle decisioni dei manager politici dell’azienda e alla volontà politica del centrosinistra. Il disastro giunge al culmine con lo scandalo della discarica di Scarpino su cui sta indagando la magistratura.

AMIU va mantenuta totalmente pubblica senza vendere neppure una piccolissima quota. Vanno valutate invece tutte le ipotesi di trasformazione societaria atte a favorire la richiesta di fondi e progetti di rifinanziamento per la creazione di nuove infrastrutture legate allo sviluppo della raccolta differenziata. L’azienda pubblica dovrà anche favorire un processo di reinternalizzazione di quei servizi che sono dati in appalto. Il sistema di commistione pubblico privato è in fatto al centro di spreco di risorse, corruzione e sfruttamento della forza lavoro nelle ditte appaltatrici.

Costruendo le infrastrutture necessarie alla raccolta differenziata (separazione secco-umido, lavorazione dell’indifferenziato a valle secondo brevetti già in uso in altri paesi, biodigestori per l’umido e discariche gestibili) questa deve essere estesa e rafforzata con la raccolta porta a porta magari incentivandola attraverso agevolazioni e sconti verso i nuclei familiari e abitativi che ne facciano uso continuo.

4) Politiche per la casa

Da parecchi il Governo Centrale si è adoperato per svendere il patrimonio residenziale pubblico e abbandonare totalmente politiche di regolamentazione sui canoni. La crisi economica ha accompagnato queste politiche creando difficoltà crescenti a numerosi nuclei familiari impossibilitati a pagare le spese abitative. Il risultato di questa deriva neoliberista viene celato dai media ma è impressionante. Secondo una recente analisi pubblicata dall’Espresso e condotta a livello nazionale: nel 2014 sono stati eseguiti 36 mila sfratti (circa 100 ogni giorno) a fronte di 150 mila richieste e 77 mila provvedimenti emessi in attesa di esecuzione. Nel periodo dal 2005 a oggi, il numero di sfratti è aumentato del 70% a dimostrazione di cosa significhi una politica criminale. A Genova i dati sono in linea con i valori nazionali: nel 2014 in provincia ci sono state circa 3000 richieste, 1600 provvedimenti emessi e circa 1000 eseguiti. Ciò significa una media di tre sfratti al giorno. Di tutto questo non vi è traccia sui giornali né locali né nazionali.

Contemporaneamente aumenta il consumo di suolo e la crescita del numero di abitazioni costruite per la vendita o per le speculazioni immobiliari. Nella nostra città ne sono emblema i grattacieli vuoti sorti come funghi in periferia. La crescita del numero di appartamenti si accompagna a un numero enorme di appartamenti sfitti o non occupati (circa 3 milioni in Italia).

A Genova le case sfitte sono almeno ventimila (ma le stime non sono precise e probabilmente il numero è maggiore). Il fatto che questo patrimonio sia censito in modo non preciso è già una parte del problema. Di questi immobili molti sono pubblici (Comune, Regione e altri enti pubblici), ma la parte del leone la fanno gli immobili privati. Alcune volte questi immobili risultano sfitti ma sono affittati in nero a prezzi spropositati.

Nel 2015 sono state presentate a Genova circa 3800 richieste di alloggi popolari a canoni calmierati. Le assegnazioni sono però molto meno (coprono percentuali inferiori al 10% della richiesta). Ciò significa che gli enti pubblici non hanno case da assegnare spesso perché necessitano di ristrutturazione. Ciò significa che chi viene sfrattato non ha alternative.

Il problema degli sfratti è però solo la punta di un iceberg. Si stima infatti che per le spese abitative (affitti e bollette) se ne vada circa il 40% del reddito dei nuclei familiari. Anche chi riesce a pagare l’affitto ha quindi grosse difficoltà e vede decurtato metà del proprio stipendio.

Il problema non è quindi solo l’emergenza ma il furto di salario per le classi popolari legato al caro affitti.

La città di Genova ha quindi parecchi problemi in parte legati alle manovre di dismissione del patrimonio edilizio pubblico, in parte dovute ai tagli nazionali e in parte legati all’elevato numero di case sfitte.

Per affrontare il problema occorre da un lato agire sulle emergenze abitative ma dall’altro cercare soluzioni di lungo termine per diminuire le spese di affitto. Ovviamente è possibile farlo se aumenta il patrimonio utilizzabile e se aumenta la quota di canoni calmierati.

Esistono alcune cose da fare nell’immediato: non rendere operativo il Piano Casa del ministro Lupi e applicare una moratoria immediata sugli sfratti. Questi sono i provvedimenti di emergenza, successivamente occorre affrontare la questione delle case disponibili.

Recentemente il Comune di Livorno ha approvato una norma che consente la requisizione di case sfitte ai multiproprietari in caso di emergenza abitativa. La delibera è politica e non ha effetto pratico immediato in quanto, per legge, i provvedimenti devono essere presi dal Prefetto. Si tratta quindi di una posizione politica senza effetto immediato che lancia comunque un segnale non piccolo. A oggi, senza la reimmissione in circolo del patrimonio sfitto a canoni calmierati non è possibile né risolvere l’emergenza sfratti né impostare una politica per la casa di sostegno alle classi popolari. L’edilizia pubblica deve essere totalmente messa a disposizione (creando appositi fondi per la ristrutturazione) ma occorre anche stipulare contratti con i proprietari privati colpendo duramente gli enti e i singoli che mantengono case sfitte e non accettano gli affitti calmierati. Per questo occorre usare la leva dell’IMU abbassando a livelli minimi l’aliquota sulla prima casa e alzandola in proporzione per i multiproprietari. Occorre poi che, chi si rigiuta di aderire alla messa in circolo delle case sfitte venga gravato di aumenti dell’aliquota. Per gli enti industriali, finanziari ed ecclesiastici che mantengono edifici sfitti occorre agire con il sequestro o con sanzioni come recentemente fatto a Barcellona dal sindaco Ada Colau.

Inoltre il mercato degli affitti deve essere maggiormente controllato dal Comune: occorre avere una mappatura completa degli immobili cittadini e gli affitti devono essere gestiti e registrati centralmente in modo da poter applicare diverse tariffe e tassazioni a seconda della tipologia della casa e delle scelte dei proprietari.

Il Comune deve poi rifiutarsi di agire come intermediario immobiliare nella vendita del patrimonio abitativo pubblico. Le agenzie addette (a Genova la Spim) devono affittare gli immobili e non venderli.

Per quanto riguarda la costruzione di nuovi edifici occorre considerare che il consumo di suolo è già a livelli molto alti. Esistono però delle zone ex industriali che vengono utilizzate per la costruzione di edilizia privata. In questi casi, occorre sostituire l’edilizia privata e residenziale con edilizia pubblica a canone concordato.

5) Gestione accoglienza migranti

La questione dei profughi e richiedenti asilo è solo una piccola parte della questione dei migranti a Genova. I dati sulla presenza migrante a Genova sono in evoluzione e comprendono una vasta tipologia di figure dai richiedenti asilo fino alla regolarizzazione completa. Non esiste nessuna invasione da parte degli immigrati che al massimo compensano in parte il calo della popolazione della città. La questione è comunque spinosa in quanto si innesta in una situazione di crisi del tessuto cittadino dovuto all’austerità imposta dai trattati e dal Governo Centrale. In una situazione di diffusa insicurezza sociale è normale che si sviluppino paure che una parte della politica genovese alimenta sfruttando il razzismo come arma propagandistica. Il centrosinistra non risponde a queste politiche ma mette in campo politiche di accoglienza che alimentano i problemi.

Esistono leggi dello Stato che vanno totalmente cambiate: il fenomeno deve essere governato in maniera completamente diversa in modo da accelerare le pratiche per i richiedenti asilo e regolarizzare tutti coloro che decidono di vivere in Italia. Questo è l’unico modo per evitare la presenza di cittadini di serie A e di serie B, situazione che crea disparità di diritti e permette l’uso degli immigrati come arma di ricatto per politiche di abbassamento del costo di lavoro e l’introduzione di politiche securitarie che colpiscono non solo gli stranieri.

Il Comune di Genova si trova quindi in una situazione identica rispetto agli altri enti locali e deve mettere in campo politiche di persuasione nei confronti del Governo Centrale per una revisione generale delle politiche sull’immigrazione.

Innanzitutto occorre una regolarizzazione totale e immediata di tutti gli stranieri che vogliono risiedere in Italia fornendogli gli strumenti per ottenere lavori in regola e pagati secondo i contratti nazionali. Dandogli la possibilità di stipulare affitti e coprire le spese senza nessuna discriminazione rispetto ai cittadini italiani.

Le procedure di analisi del diritto all’asilo devono essere molto più celeri in modo da rendere il periodo di incertezza e di emergenza veloce e riassorbibile

L’emergenza deve essere risolta attraverso la più ampia possibile accoglienza in centri comunali. Occorre che i profughi possano avere risorse proprie da spendere. Un metodo potrebbe essere quello di fornirgli buoni di acquisto corrispondenti alla valuta in euro da spendere nel territorio comunale in modo da favorire il commercio come già avviene in altri comuni.

I profughi in attesa di asilo e i non regolari (che devono essere una eccezione temporanea e di breve durata) non devono lavorare gratis e, se inseriti in un circuito lavorativo, lo devono fare con uguali salari e diritti di tutti gli altri lavoratori.

Occorre mettere in campo strumenti pubblici come scuole per la lingua e sul rispetto dei diritti e dei doveri di ogni cittadino.

Il Comune di Genova, nel caso di inadempienze delle regole nazionali relativamente allo snellimento delle procedure di regolarizzazione, deve aprire una vertenza politica con il Governo nazionale e valutare la possibilità di permessi di regolarizzazione comunali per dare ai cittadini stranieri che ne facciano richiesta le stesse opportunità dei residenti.

Noi pensiamo che nel mondo esistano solo due razze: chi sfrutta e chi è sfruttato. Conosciamo bene la tradizione di accoglienza, antirazzista e antifascista di Genova e ne andiamo fieri. Crediamo però che occorra che questa tradizione sia dotata di politiche concrete e non solo di atteggiamenti ideali. In situazione di crisi, disoccupazione e impoverimento occorre che le politiche di integrazione e di accoglienza siano tali da non creare nuove situazioni di sfruttamento né per i migranti, né per i cittadini residenti. Fornendo a tutti parità di diritti e di tutele, evitando discriminazioni sul lavoro e sul welfare.