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Lo sciopero degli scrutini dilaga in tutta Italia. Le ragioni di chi sciopera

11067133_824082807678825_8654919798398487536_nLo sciopero degli scrutini dilaga in tutta Italia. Piemonte, Emilia, Molise, Lombardia. A Genova l’inizio è con il botto e si prosegue fino al 12 giugno. Comunque vada la discussione in Senato, per i lavoratori della scuola i ministri Renzi e Giannini sono morti che camminano. Di seguito un intervento di un nostro compagno docente del Coordinamento Lavoratrici e Lavoratori Genova.

Dopo l’oceanico sciopero del 5 maggio in cui la quasi totalità dei lavoratori della scuola ha incrociato le braccia ed è scesa in piazza contro la pseudo-riforma Renzi-Giannini, il governo ha deciso di continuare sulla sua strada. Il Ddl sulla “buona scuola” è stato approvato alla Camera, ma deve passare dal Senato. Nel frattempo, nelle elezioni regionali, soprattutto in conseguenza dell’astensione, il Partito Democratico dimezza i voti un po’ ovunque.

Da subito, dopo lo sciopero del 5 maggio, i docenti e i sindacati hanno deciso di scioperare nei giorni degli scrutini. Lo sciopero è sostanzialmente unitario, seppure con orari e modalità diverse a seconda del sindacato e delle regioni. Laddove è cominciato (ad esempio in Piemonte, Emilia, Lazio), lo sciopero ottiene ottimi risultati. Inoltre, pur non dando troppo importanza alle alchimie parlamentari, occorre sottolineare che in Senato il Governo comincia a mostrare le proprie crepe e viene battuto sulla costituzionalità della riforma.

Fino a qualche anno fa, uno sciopero come quello del 5 maggio avrebbe causato un cataclisma governativo. Un Governo che, nonostante la propaganda incessante, dimostra di non aver convinto nessun lavoratore avrebbe rimandato la riforma. In ballo c’era il consenso di un pezzo di società importante. Oggi di quel consenso ne fanno a meno: ciò che conta è il giudizio delle lobby padronali e dei poteri del capitalismo europeo; se a votare vanno sempre meno lavoratori, per chi governa può essere un problema trascurabile.

Eppure la lotta può ancora cambiare le cose e rimane l’unico strumento in mano ai lavoratori. Lo sciopero degli scrutini si colloca infatti nelle pieghe dell’infame legge 146 contro gli scioperi ma è perfettamente legale. Ancora oggi, nonostante le restrizioni, i docenti hanno la possibilità di usare il potere che gli deriva dal proprio lavoro. Qualcuno può pensare che sia antidemocratico bloccare da soli o in pochi uno scrutinio; noi pensiamo invece che sia giusto perché ogni insegnante è indispensabile al funzionamento della scuola e può far valere il suo potere.

Dopo uno sciopero come quello del 5 maggio, l’unico comportamento antidemocratico è quello del governo che si disinteressa totalmente del parere dei lavoratori della scuola.

Il fatto che un gruppo di docenti (lasciando a casa lo stipendio del giorno o delle ore che sciopera) possa rispondere a un presidente del consiglio arrogante che, non contento del coro unanime al suo operato che si leva dai media di regime unificati, si permette di scrivere a tutti delle lettere non richieste con la propria propaganda, è un esempio del potere che i lavoratori possono esercitare in virtù della loro funzione insostituibile. Questo è un esempio che vale per tutti i lavoratori e sta alla base dell’unico concetto democratico reale che ci interessa: il potere a chi lavora, per chi lavora. Questo è concetto che può essere capito dai lavoratori della scuola, dalle famiglie che aspetteranno qualche giorno in più per i risultati o per gli studenti che un domani si appresteranno a diventare lavoratori pagati sempre meno e sempre più ricattabili.

Per questo, rimandando al mittente tutta la propaganda contro i lavoratori della scuola, ci apprestiamo a scioperare e rimandare gli scrutini. Perderemo lo stipendio, lavoreremo di più per recuperarli, faremo arrabbiare qualche dirigente zelante, ma riteniamo che questo sforzo sia necessario per opporsi a una riforma antidemocratica e sbagliata dalle fondamenta.

Per questo la lotta dei docenti deve continuare anche dopo lo sciopero, indipendentemente dall’approvazione o meno della riforma