in evidenzainternazionale

14 aeroporti greci sono diventati tedeschi

Conferenza stampa a seguito dell'incontro tra il primo ministro greco e la cancelliera tedescaSe qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla pertinenza, all’interno della nostra società, del concetto di imperialismo può informarsi e vedere cosa succede in Grecia dopo l’approvazione del terzo memorandum.

Non mancano, ovviamente, altri esempi eclatanti ma, il caso greco bene si presta a spiegare come il funzionamento dell’economia capitalista sia strutturalmente legato alla conquista di nuovi spazi di mercato e di monopolio. Tutto questo calpestando i diritti dei popoli, degli stati deboli e, soprattutto, dei lavoratori.

Solo pochi giorni dopo la ratifica del terzo memorandum tra i creditori e la Grecia, nel paese ellenico viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la notizia della cessione di quattordici aeroporti greci al gigante tedesco Fraport. Il tutto per la cifra di 1,2 miliardi di euro. Questa cessione, bloccata dal nuovo governo di Syriza al momento della sua elezione, è stata rispolverata dopo il terzo memorandum.

L’espressione “salvataggio” della Grecia si traduce quindi con una svendita del proprio patrimonio industriale, cominciando dalle aziende floride. Evidentemente, nella notte del 13 luglio 2015, la signora Merkel e il signor Shauble, mentre cercavano di convincere Tsipras a un accordo favorevole, avevano in mente i diritti degli imprenditori tedeschi che non dovevano rinunciare ad allargare il proprio traffico di affari.

Nel terzo memorandum è previsto che si crei un apposito fondo per le privatizzazioni, tutto a garanzia dei soldi “gentilmente” prestati alla Grecia. Sui giornali si indicano i settori (porti e ferrovie) che stanno per essere venduti a imprese multinazionali. Mentre, gli 86 miliardi di euro in tre anni di aiuti saranno ripartiti tra le banche (greche e internazionali), gli interessi sul debito e per consolidare gli arretrati. Stesso destino dei 240 miliardi di euro dei precedenti memorandum il cui 95% è ritornato indietro e ai lavoratori greci sono rimaste solo le macerie.

Parte del patrimonio industriale e dei servizi in Grecia, aveva già subito la stessa sorte negli anni scorsi. Tsipras aveva sostenuto che era il momento di interrompere la svendita della Grecia ai padroni e agli stati come la Germania. Di questa parte del discorso, oggi non si ha più traccia.

Notiamo bene che tutto questo avviene nelle segrete stanze dell’Eurogruppo in cui i comitati di affari sono ben rappresentati. Qualche esponente liberale storcerà il naso pensando che queste procedure non hanno nulla a che fare con il vero liberalismo. Sono probabilmente convinti che le procedure di privatizzazione siano virtuose e debbano avvenire alla luce del sole, favorendo la concorrenza leale tra stati e imprese. Invece, anche in questo caso, ciò che conta è la forza. La Germania e la Trojka l’hanno usata, il Governo greco l’ha subita.

Si tratta, tuttavia, di procedure classiche. Il fondo per le privatizzazioni della Grecia è identico all’agenzia Treuhand che smantellò l’intero sistema industriale della DDR regalandolo alle imprese dell’ovest. Un meccanismo simile a quello che accadde con il patrimonio industriale sovietico ai tempi di Eltsin, replicato in altre forme con tutti i paesi dell’est Europa. L’applicazione in tempi rapidi dei processi di privatizzazione che vediamo anche nel nostro stato e nei nostri enti locali.

Recentemente, un’indagine tedesca ha stabilito che, durante la crisi greca, la Germania ha ricavato circa 100 miliardi di euro attraverso la leva finanziaria. Parte di questi soldi saranno finiti anche nelle tasche dei lavoratori tedeschi che, comunque, hanno visto diminuire i loro diritti e i loro salari. Il discorso è semplice, qualcuno ci ha guadagnato (le banche e le grandi imprese) altri hanno perso (quasi tutto i lavoratori greci, abbastanza i lavoratori tedeschi).

Basta un minimo di ragionamento e si capirà bene perché non si riesce a creare un fronte di lotta europeo contro l’austerità. Le classi dominanti in Germania e negli altri paesi UE, hanno buon gioco a spiegare ai lavoratori che l’austerità e i tagli in Grecia andranno anche a loro vantaggio, ventilando nuovi sacrifici se i popoli non virtuosi non pagano i debiti. Una delle caratteristiche peculiari che Lenin spiegava nell’imperialismo è propria quella di dividere i lavoratori tra uno Stato e l’altro e all’interno dello Stato servendosi della complicità dei partiti e dei sindacati che dovrebbero, invece, lavorare per fronti comuni di resistenza.

Si è sostenuto, giustamente, che la resistenza del popolo greco all’austerità era un esempio per l’Europa. Si è detto che quella resistenza provava correttamente a darsi una rappresentanza politica. Oggi bisogna dire chiaramente che quella resistenza è stata sconfitta dalle classi dominanti. Oggi non si può far finta che il risultato sia buono e che la colpa sia solo dei rapporti di forza sfavorevoli. Non è possibile lottare per salari, pensioni e diritti dicendo che è un bene ciò che accade in Grecia. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà e chiedersi se è possibile un riscatto dei paesi deboli e delle classi lavoratrici all’interno della gabbia d’acciaio dell’Unione Europea. La risposta ci sembra sempre più evidente e oggi può essere compresa anche da coloro che hanno sempre rifiutato ogni prospettiva di uscita dal mostro chiamato Unione Europea.

La ripresa delle mobilitazioni in Grecia, lo sviluppo di un nuovo movimento nazionale contro l’austerità che nasce dalla convergenza tra quei settori della sinistra di classe che rifiutano il terzo memorandum e le prese di posizione in tal senso di alcuni settori della sinistra in Europa ci parlano della necessità di mettersi in gioco con tutte le nostre forze anche in Italia e nei nostri territori.