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La “cattiva scuola” arriva al punto

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Nonostante ciò che i sindacati confederali e lo Snals hanno strombazzato ai quattro venti solo qualche giorno fa, il Governo Renzi ha deciso di fregarsene di qualsiasi accordo e ha varato la nota per le procedure di assunzione della cattiva scuola: la micidiale chiamata diretta.

Che i sindacati complici pensassero di ottenere qualche risultato trattando con il ministero non depone a favore delle loro buone intenzioni (o della loro intelligenza). Il Governo Renzi ha totalmente ignorato tutte le proteste al momento di approvare la legge 107 e ha preso per i fondelli i sindacati quando hanno deciso che gli scioperi andavano bloccati e si sono messi a trattare.

E’ finito il periodo in cui i governi amici venivano incontro ai sindacati responsabili ma questo per Cgil, Cisl e Uil non è un problema. Lo è invece per i lavoratori, per gli studenti e i docenti.

Le procedure per la chiamata diretta sono state contestate nel metodo ma in realtà il concetto base della meritocrazia è accettato dal sindacato. Il problema è che della meritocrazia non importa un fico secco a nessuno: il problema è stabilire chi decide in una scuola che oramai è una azienda governata da un manager che si chiama dirigente scolastico. E’ questa la figura del comando, distribuisce incarichi, bonus premiali e assume in base a criteri molto vaghi.

Chi pensa che in questo modo venga scelto il docente più in gamba sta sognando: il manager sceglierà quello che più si confà al criterio aziendale che ha in testa. Per questo il colloquio si può benissimo fare via skype come un provino per un casting qualunque.

Sono oramai anni che i presidi hanno questo ruolo, quello del padrone che deve applicare le norme governative a tutti i costi. Per questo prende ordini dal governo tramite le associazioni dei presidi.

L’idea è quindi quella di una scuola in cui uno comanda, un gruppo di sodali scelti nello staff funziona da quadro intermedio e gli altri obbediscono. Per rendere il tutto più pesante, il bonus serve per rendere evidente che l’idea di una scuola collegiale e collaborativa non ha più senso.

Così come non ha più senso che i manager e i docenti vengano considerati come colleghi e quindi possano stare nelle stesse organizzazioni sindacali e coordinarsi. I presidi erano colleghi con incarichi di responsabilità fino a 15 anni fa, ora sono diventati il braccio del padrone che si chiamano governo e confindustria (il principale sponsor delle riforme degli ultimi anni). Nonostante ciò, nei sindacati complici docenti e presidi continuano a lavorare insieme come un tempo.

La cattiva scuola giunge quindi al suo apice. Una operazione decennale è arrivata a compimento. La scuola diventa sempre meno capace di formare nozioni e senso critico e si trasforma in un ente formalmente pubblico gestito come una azienda che deve sfornare futuri lavoratori flessibili, precari o disoccupati. La resistenza del 2015 è stata sconfitta dalla coerenza del Governo e dalla incapacità dei sindacati.

A questo punto rimane la partita del referendum ma occorrerà comunque fare un bilancio. Oggi i docenti hanno perso molto e il ruolo della scuola è molto cambiato. Continuare a non vederlo significa andare verso ulteriori sconfitte.

Sconfitte che potrebbero colpire ancora la scuola pubblica. Infatti è facile vedere come ciò che accade da dieci anni a questa parte nel mondo dell’istruzione non è diverso da ciò che ha colpito la sanità e quasi tutto il servizio pubblico. Si vuole aprire la strada alla privatizzazione dapprima dipingendo gli insegnanti come la feccia della società e continuare sottraendo fondi, introducendo gerarchie per dividere i lavoratori e finanziando gli istituti privati con soldi pubblici. Si chiama neo liberismo ed è una scelta politica che prima di Renzi è stata fatta da tutti i governi precedenti senza nessuna differenza. Ora Renzi applica norme che provavano a proporre la Moratti e i ministri del PD o della destra nei precedenti esecutivi. Sono norme dettate dai poteri imprenditoriali e bancari che costituiscono l’ossatura della UE. Ai governi delle questioni in sé importa poco, eseguono ordini che arrivano dall’alto. Per questo scioperi che si interrompono o trattative ragionevoli portano pochissimi risultati perché i governi rispondono a logiche che non hanno nulla a che fare con la democrazia e il consenso dei lavoratori. Per questo, la partita è tutta politica e si gioca sulla necessità di mandare a casa chi governa, il PD e l’Unione Europea. E’ l’unica possibilità per salvare ciò che resta dell’istruzione pubblica e ripensare a ricostruire un sistema educativo coerente e progressista.