in evidenza

L’importanza del 21 e 22 ottobre

14713548_1634539763510686_1180974591616454232_nNote a margine di ritorno dal No Renzi Day

Il 21 ottobre, lo sciopero generale convocato dai sindacati di base (USB, USI, UNICOBAS, una parte della Cub Trasporti, con l’adesione di SiCobas e Adl) ha coinvolto più di un milione di lavoratori bloccando buona parte dei trasporti e dei luoghi di lavoro. In numerose città si sono tenuti cortei, blocchi ai cancelli, presidi. Lo sciopero ha bloccato buona parte del settore pubblico ma anche di quello privato coinvolgendo luoghi e fabbriche dove normalmente il sindacato di base non riusciva a incidere. Il giorno dopo, il NO RENZI DAY ha visto sfilare a Roma più di diecimila lavoratori e cittadini coalizzati contro il Governo, contro il PD e contro l’Unione Europea. Significativo che il no al referendum costituzionale sia stato declinato con forza come un no sociale. La manifestazione aveva un segno inequivocabile: il no alla riforma è un no contro il blocco dell’austerity, contro Renzi, contro il PD ma anche contro i mandanti individuati in quel blocco sociale europeista che si chiama Unione Europea.

Prendere posizione

Il risultato può essere giudicato in molti modi: chi grida al grande successo, chi si lamenta dei numeri che non sono confrontabili con quelli di qualche anno fa. Occorre quindi fare chiarezza ed evitare di esprimere giudizi che non tengano conto della fase politica che stiamo attraversando.

L’Italia è uno stato in cui la maggior parte dei cittadini e dei lavoratori è stata tenuta all’oscuro dai media non solo dello sciopero generale e della manifestazione ma non ha neppure la possibilità di conoscere quale è la posta in gioco sul referendum del 4 dicembre descritto al più come una lotta interna a un quadro politico diviso tra innovatori (Renzi, il PD, il potere economico, la Confindustria) e conservatori (Bersani, D’Alema e gli sconfitti del PD, Berlusconi, Brunetta, De Mita, Cirino Pomicino, la Lega, etc…). Che la partita sia totalmente diversa viene negato categoricamente. L’Italia è uno stato in cui si arruolano comici premi Oscar per farci credere che il no equivarrebbe a un disastro come la Brexit, in cui viene considerato normale che il Presidente USA intervenga a favore del sì, in cui viene spacciata per finanziaria una serie di diapositive propagandistiche che distribuirebbero soldi a pioggia, abolirebbero Equitalia (che cambia solo nome…) etc…, in cui vengono sistematicamente occultate le cifre disastrose per i lavoratori sul jobs act, in cui i sindacati complici spacciano per positiva una riforma delle pensioni che è solo l’ennesimo regalo alle banche.

Viviamo in una fase in cui a farla da padrone è una quasi totale passività sociale e politica. Il dibattito verte su categorie in cui la realtà cruda dei fatti è occultata, in cui ogni voce discordante nei confronti del sistema economico e politico è semplicemente azzerata.

In questo quadro, la scommessa dello sciopero generale e della manifestazione e’ stato un atto di estremo coraggio. I numeri non sono quindi alti in assoluto ma vanno giudicati molto positivamente in relazione alla fase. La composizione sociale della manifestazione è, inoltre, il secondo dato positivo. In una manifestazione tutta politica, in piazza sono scesi moltissimi lavoratori. Nei vari spezzoni erano presenti lavoratori che lottano per alcune garanzie residue e lavoratori immigrati che di quelle garanzie non hanno mai avuto idea. La saldatura tra questi settori di classe è un elemento assolutamente positivo perché allude a una ricomposizione delle lotte tra una generazione nata e vissuta sotto il segno della crisi, della precarietà e dello sradicamento sociale con una generazione che quei diritti li sta perdendo sotto l’attacco del neoliberismo imposto dalla UE. Un’unità non ideale ma legata concretamente alla fase economica in cui la fascia garantita lo è sempre meno e le riforme tendono ad allargare a tutta la platea dei nuovi lavoratori il futuro di precarietà e impoverimento.

Il livello dello scontro sociale. Una prospettiva realista

Chi sostiene che si sia trattato di uno sciopero rituale o di una passeggiata, non sa di che parla. E’ ovvio che in questa fase di restringimento dei diritti sociali e politici, possa venire in mente che le risposte debbano essere sempre più forti ma in realtà occorre ragionare sui fatti. Lavoratori che scioperano, bloccano la produzione in importanti settori per un giorno intero, rinunciano a uno stipendio spesso decisivo per arrivare a fine mese compiono un gesto militante di alto valore. Per i padroni e il quadro politico che li sostiene questo crea un danno infinitamente più grande di qualsiasi azione estetica o simbolica buona a spostare per pochi istanti lo spazio mediatico della narrazione ma incapace di incidere in profondità su qualsiasi dinamica sociale. I “superivoluzionari social”,come qualcuno recentemente li ha definiti, spesso confondono i piani e i tempi. Nella fase attuale, le due giornate rappresentano esattamente il miglior risultato concreto che una politica di classe possa conseguire se ha l’ambizione, che riteniamo corretta, di contribuire a ricostruire un percorso politico di classe.

Ragionare in termini di ricomposizione sociale e politica

La composizione politica della manifestazione di Roma è stata evidente a tutti. La presenza del sindacato USB ha saldato alcune anime della sinistra radicale sulla prospettiva di un no sociale alla riforma. Il no sociale può essere declinato in vari modi: alludere a una semplice cacciata di Renzi e del PD o essere allargato a una lotta contro l’austerità in cui il nemico è la frazione imprenditoriale e finanziaria che detta le regole UE. La prospettiva più ampia che è stata scelta ha influito sulla manifestazione lasciando fuori dal campo la parte di sinistra istituzionale legata al vecchio centrosinistra da un lato e l’area del movimento dall’altro. Contemporaneamente ha ristretto il campo esplicitando però la possibilità della creazione di un fronte politico unitario di classe. La ex sinistra radicale era presente divisa nei suoi innumerevoli rivoli ma la sua funzione era comunque evidente e ha contribuito al risultato ottenuto. E’ un fatto che va comunque sottolineato perché se è vero che una unione di debolezze non fa una forza, è comunque vero che l’unità di azione su una prospettiva ben definita può creare quel minimo di massa critica necessaria ad agire e non solo a declamare. Questa unità permette inoltre di portare in piazza e rappresentare non solo i militanti ma una buona parte di lavoratori e di popolo. Questo fatto ci spinge a pensare che un progetto di fronte politico di classe è assolutamente necessario per provare a intercettare un malcontento che, senza forza soggettiva di classe, si esprime attraverso il qualunquismo e l’abbandono della lotta.

Se è vero che il conflitto non può essere creato a tavolino, è però vero che il ruolo della soggettività politica può accelerare alcuni passaggi.

In questo senso, la manifestazione di Roma segna un passaggio che sarà importante se ha un futuro. Il coordinamento per il no sociale può e deve diventare l’embrione di un fronte politico ricompositivo che provi a gettare nell’agone politico la possibilità di intervenire nel dibattito generale rappresentando gli interessi di classe. Sappiamo le difficoltà ma non ci risulta che ci siano alternative. Abbiamo di fronte la necessità impellente di ributtare nell’agone sociale e politico una visione di classe che è stata espulsa dal dibattito. Tutto il resto è dibattito interno tra i militanti che non sposterà di una virgola le nostre difficoltà. Se così sarà, come nei due giorni appena trascorsi, saremo orgogliosi e pronti nel portare il nostro contributo.

Collettivo Comunista GCS