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4 dicembre 2016. Il no non ci basta, bisogna andare avanti

noforteIl referendum del 4 dicembre ha visto una vittoria straordinaria del no con una grande partecipazione. Votare no a questo referendum e impegnarsi fin da giugno in questa contesa ha avuto per noi un valore decisivo. Chi pensa che impegnarsi in una contesa elettorale sia come giocare sul campo del nemico ha ragioni da vendere. Per questo pensiamo che sia opportuno scrivere alcune cose a mente più fredda, innanzitutto spiegando le ragioni della nostra campagna.

Da giugno a dicembre

Nei mesi più caldi dell’estate scrivemmo un testo che annunciava l’avvio di una battaglia di classe contro la riforma istituzionale. In quel periodo del referendum non parlava nessuno se non un ristretto gruppo di giuristi che, correttamente, mettevano in guardia nei confronti di una riforma pasticciata e illeggibile. A livello politico infuriava un dibattito all’interno del PD, totalmente strumentale, tra Renzi e la vecchia guardia degli sconfitti (Bersani, D’Alema etc…) Di queste cose ce ne importava veramente poco ma avevamo capito che dietro lo spettacolo indegno del PD si agitava una battaglia reale e concreta che riguardava il futuro dell’Italia e di milioni di lavoratori. Quasi contemporaneamente, nella sinistra di classe lacerata e confusa si faceva avanti un ragionamento molto simile. Il punto dirimente era cercare di capire perché Renzi e i suoi alleati volessero distruggere la Costituzione (almeno ciò che di essa rimane vivo) e, per farlo, si imbarcassero in una battaglia che poteva essere difficile e a rischio.

Il punto dirimente era l’individuazione di un tentativo neo autoritario che parte da lontano, dai tentativi di introdurre una Costituzione Europea battuti sonoramente in Francia dalla mobilitazione dei lavoratori, passando per l’approvazione del Trattato UE di Lisbona (una vera e propria simil costituzione della UE i cui punti fondamentali negano i principi della nostra attuale Costituzione), dall’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione (Governo Monti) e arrivando alla moderna riforma Renzi.

Stabiliti questi nessi è stato facile capire che il motivo della riforma era l’omogeneizzazione del quadro istituzionale italiano per favorire l’espulsione del conflitto politico e sociale dall’agenda politica italiana e blindare governi e maggioranze in grado di fare il lavoro sporco contro lavoratori e cittadini.

Un primo risultato era quindi ottenuto quando queste parole d’ordine diventavano il cardine del cosiddetto no sociale alla riforma che, in poco tempo, permeava l’intera campagna per il no sottraendo il palcoscenico reale alle rivendicazioni strumentali di una destra costretta a difendere la Costituzione Antifascista contro colui che è il loro migliore alleato politico.

Perché qui sta l’altro punto dirimente: da anni il PD e in particolare Renzi hanno deciso di crearsi i nemici artificiali che più gli permettono di continuare a governare contro i lavoratori. Non a caso, le destre, la Lega Nord e i fascisti godono di un favore assoluto (mediatico e di connivenza con apparati dello Stato) nonostante la loro forza reale sia molto spesso inesistente.

Per chi come il PD governa da destra l’economia è assolutamente necessario sventolare un nemico inguardabile contro il quale far risuonare la propria propaganda sempre più vuota di argomenti. Chiunque sa che la destra è il migliore alleato del PD, chiunque sa che il fascismo e il razzismo possono essere la risposta sbagliata ma possibile a una politica che lo alimenta a forza di manovre contro le fasce più deboli che sono il cuore di quel sistema politico, industriale e mafioso che governa con il PD. Non a caso, fin da subito lo schema mediatico del regime è stato quello di assegnare la vittoria a Salvini per indicare che non ci sono alternative. O stai con il PD o stai con la destra, questo è ciò che ci dicono i media. Questa è la tela dell’inganno che dobbiamo sconfiggere.

Il no sociale ha avuto quindi, fin dall’inizio le idee chiare ma ha scontato la difficoltà nel fare emergere a livello di massa le proprie ragioni schiacciate nell’agone di una falsa contesa tra l’innovazione del PD e l’opposizione strumentale delle destre. Nonostante questo le uniche due mobilitazioni degne di note contro la riforma si sono tenute il 22 ottobre e il 27 novembre. Soprattutto la prima ha squarciato un velo anche grazie allo sciopero generale del giorno precedente. Da quel momento le ragioni del no sociale hanno preso quota e hanno permesso di impostare una campagna in cui far emergere a livello di massa le ragioni del no. Che sono le ragioni dei lavoratori stanchi di subire politiche di austerity, di cittadini stanchi di essere considerati sudditi da addomesticare con bonus truffaldini, finti aumenti salariali e anticipi pensionistici che sono regali alle banche. Che sono le ragioni dei precari costretti a vendere la propria forza lavoro con i voucher o i nuovi assunti che hanno visto sparire altri diritti e tutele conquistati in anni di lotte. Il voto evidenzia con forza questo fatto: le periferie hanno sostenuto il no, i centri cittadini e le zone ricche il si. I giovani hanno votato in massa contro il governo, gli anziani hanno subito il ricatto dei media a senso unico e sono stati convinti dalla campagna terroristica orchestrata dal PD.

Uscire dal dibattito tra i militanti per portarlo tra le contraddizioni del reale

Chi, come noi, ha condotto questa campagna ha avuto la possibilità di confrontarsi su questi temi con tantissimi lavoratori facendo uscire queste discussioni da uno sterile dibattito tra militanti per portarlo all’interno delle contraddizioni del reale. In questo senso la campagna per il no sociale era già una vittoria ancor prima del risultato perché ha permesso il confronto su temi che l’agenda politica ha escluso per anni. Per quel che vale, negli interventi pubblici, nei presidi e nei volantinaggi abbiamo avuto la possibilità di toccare con mano una rabbia sociale latente e pronta ad esplodere. Una rabbia sociale che non trova in questo momento altri canali che il movimento 5 stelle o la destra ma che ha assoluto bisogno di una reale alternativa, solidale, antifascista e dalla parte dei lavoratori.

Oggi, 5 dicembre possiamo dire di essere stati dalla parte giusta. Il fuoco incredibile della propaganda di regime è crollato miseramente. Il risultato è fenomenale ma commetteremo un errore imperdonabile se pensassimo che con la vittoria del no tutto si aggiusta. La strada che dobbiamo percorrere è ancora molto lunga, non ci si saremo fermati se sconfitti, non ci fermeremo certo adesso. Un sistema di relazioni sociali, di propaganda meschina e di impoverimento economico e culturale come quello che ci è stato imposto in questi anni non si abbatte semplicemente con un voto anche se di grande importanza.

Ricostruire una organizzazione politica di classe nel conflitto sociale e politico

Ultima considerazione è sul noi e sulle cose da fare nel prossimo periodo. In questi mesi di campagna abbiamo fatto un lavoro di cui andare fieri. Il coordinamento per il no sociale e i movimenti dal basso in Italia sono riusciti nell’intento prefissato di stabilire una agenda politica diversa rispetto alla posizione strumentale delle destre. Lo hanno fatto anche in contrapposizione a quel ceto politico di centrosinistra che ha condotto la campagna per il no con l’unico obiettivo di creare nuove condizioni di alleanza con la parte del PD travolta da Renzi. Occorre chiarire che in quei campi politici noi non dobbiamo giocare neppure un minuto. Con i primi non è possibile per natura, con i secondi sarebbe solo una perdita di tempo che distruggerebbe per incanto ogni velleità di cambiamento sociale e progressivo.

Abbiamo una opportunità storica che non dobbiamo sprecare. Unire le forze per il cambiamento sociale e dimostrare che i lavoratori e gli sfruttati non solo hanno difeso la Costituzione ma sono anche in grado di applicarne i principi fondamentali troppo spesso traditi in questi anni anche nel nostro campo politico. Unire le forze non soltanto in senso ideale ma reale e organizzativo attraverso la creazione di una proposta politica di rottura sociale e politica.

Perdere questa occasione sarebbe un errore mortale. Non abbiamo intenzione di farlo e siamo disponibili e pronti a fare la nostra parte mettendo a disposizione tutte le forze di cui disponiamo.