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Tsipras alla resa definitiva

Nell’autunno 2015, pubblicammo un libro sulla questione greca all’indomani del referendum sull’OXI e pochi giorni dopo la resa del governo Tsipras di fronte alle pretese della Trojka (il libro “Grecia dalla resistenza alla resa” edizioni PiGreco non è di facile reperibilità. Se qualcuno lo volesse consultare e non lo trovasse in vendita può richiedercelo scrivendo alla mail stellarossagenova@hotmail.com per ottenerlo in formato digitale). Questo testo che segue può essere considerato come una sorta di postfazione.

Il libro lo presentammo in diverse occasioni in giro per centri sociali e collettivi. Ci serviva come base di discussione per una questione che trascendeva la contingenza e diventava, per noi, una questione di teoria politica.

In realtà, le cose non furono semplici. In tutte le presentazioni la discussione verteva tra due polarità comprensibili ma, secondo noi, erronee. Da un lato coloro che consideravano Tsipras e Syriza dei semplici traditori del popolo, dall’altro coloro che giustificavano il comportamento del governo greco considerandolo una presa d’atto realista di alcuni rapporti di forza che non potevano essere cambiati.

Scriviamo quindi queste righe pochi giorni dopo il risultato delle elezioni nazionali dove Syriza ha perso la maggioranza riconsegnando il paese ellenico in mano alla destra di Nuova Democrazia e proviamo a riprendere il filo di un ragionamento che, ancora oggi, ci sembra attuale.

Il concetto base del nostro libro partiva da una premessa che allora sembrava evidente a tutti: Syriza giungeva al governo sulla base di una enorme spinta popolare ben rappresentata da decine di scioperi generali contro le politiche imposte dal commissariamento della Trojka. La spinta popolare fu accompagnata da Syriza la quale, a differenza del KKE che tenne una posizione più autonoma e defilata, fu parte integrante del movimento favorendo la nascita e il rafforzamento di numerose iniziative di base e di mutuo soccorso. Molti osservatori parlarono allora di un movimento che aveva caratteristiche che lo avvicinavano a una vera e propria insurrezione popolare. Quel movimento fu la spina dorsale che fece passare, in pochi anni, Syriza dal 3% dei consensi al governo del paese.

Nel libro segnalammo una serie di questioni che non ritenevamo marginali. Da un lato Syriza conduceva una lotta sociale e politica contro le politiche dell’Unione Europea pensando comunque che questa fosse riformabile. Inoltre, la crescita di Syriza aveva attratto tra le proprie file strutture di base e collettivi ma anche pezzi dell’establishment sindacale e politico che stavano abbandonando il Pasok saltando sul carro del vincitore.

La vittoria elettorale fu comunque monca. Da un lato Syriza sviluppò una alleanza con un piccolo movimento di destra antiausterity (Anel) in quanto non aveva la maggioranza assoluta. Una possibile alleanza con il KKE non fu allora possibile soprattutto per il rifiuto del KKE ad assumersi responsabilità governative.

Dopo i primi burrascosi giorni di governo, l’Unione Europea e la Trojka dimostrarono rapidamente di non gradire il nuovo esecutivo. In una situazione di assedio, con le banche sostanzialmente commissariate, si giunse al fatidico referendum del luglio 2015. In quell’occasione Syriza chiese ai cittadini greci di esprimersi sulla possibilità di rifiutare un nuovo memorandum di tagli sociali che le veniva imposto. A stragrande maggioranza, i cittadini greci risposero al referendum chiedendo di rifiutare il memorandum. Pochi giorni dopo, a seguito di una trattativa estenuante arrivò la firma di Syriza e l’accettazione del nuovo pacchetto di tagli.

A quel punto Syriza convoca nuove elezioni anche perché una parte dei propri militanti esce dal partito. Le elezioni nazionali si svolgono in un clima completamente cambiato rispetto a un paio di mesi prima. I cittadini sembrano totalmente ritirati in sé stessi. Syriza riconquista la maggioranza relativa ma è costretta a nuove alleanze con i partitini di centro sinistra derivanti dalla diaspora del Pasok.

Il resto è cronaca di 4 anni circa di governo in cui la retorica anti austerità di Tsipras si scontra con una realtà in cui il commissariamento impedisce misure per le classi popolari e impone nuovi tagli. La resistenza popolare continua con gli scioperi generali di cui però si fanno carico piccoli gruppi, collettivi e anarchici e non riesce più a divenire parte di una sollevazione generale. Il governo Syriza cede su tutto e si limita a una serie di politiche di ammodernamento capitalista che, pur essendo comprensibili vista la generale situazione di arretratezza delle infrastrutture della Grecia, non fanno altro che approfondire il divario tra i diritti e le condizioni delle classi popolari e delle classi agiate.

La cronaca sta tutta qua. Le recenti elezioni nazionali possono essere commentate in tanti modi. A sinistra ci si divide tra coloro che sottolineano nuovamente il tradimento di Tsipras e chi invece lo difende in quanto, pur sconfitto, raccoglie comunque consensi elevati.

Con lo stesso spirito con il quale abbiamo scritto il libro alcuni anni fa, ribadiamo che questa dicotomia non coglie il reale problema della Grecia e in generale della lotta contro il meccanismo di impoverimento delle classi popolari e dei lavoratori in molti paesi della UE.

L’interesse generale sul caso greco andava e continua ad andare al di là dello specifico nazionale. È possibile governare da sinistra se non si ha la possibilità di rifiutare i commissariamenti e i trattati fondanti dell’Unione Europea? Ha un senso governare un paese sotto ricatto andando a deprimere tutto quel protagonismo ed attivismo sociale che era stato la base del proprio consenso?

Il fallimento della sollevazione popolare greca indica che queste domande sono di stretta attualità. Il ruolo dei soggetti politici in campo (per noi a sinistra Syriza, il KKE, le sinistre radicali, i movimenti sociali) è importante e va giudicato sulla base del consenso che ottiene ma soprattutto sulla base della sua interazione con le lotte sociali.

Le condizioni oggettive di partenza nel caso greco e le mancanze soggettive del gruppo dirigente di Syriza hanno trasformato un movimento cresciuto su altre basi in una versione leggermente più progressista di un PD alla greca. La purezza ideologica e il settarismo politico di forze come il KKE risultano inutilizzabili per i movimenti reali e rischiano di trasformarsi in forze di pura testimonianza. I movimenti sociali, se non inseriti all’interno di un progetto generale di trasformazione politica, rischiano di incartarsi in un puro attivismo sterile.

Il tutto, fatte le debite proporzioni e al netto delle differenze economiche, politiche e di contesto nazionale, è una cosa che ci riguarda da vicino. Una questione sulla quale vale ancora la pena di riflettere senza reticenze, abbandonando il pur comprensibile tifo politico per questa o per quella frazione in campo. Cercando di capire cosa fare oggi qui da noi. Sia per chi, come noi, progetta un cambiamento radicale e rivoluzionario del sistema economico e sociale e sia per chi si accontenterebbe semplicemente di una serie di riforme che favoriscano le classi popolari. Rischiando poi, al netto delle buone intenzioni di non ottenere né l’uno né l’altro. E di continuare o a governare facendo, da una parte, il solito gioco a favore dei padroni mentre dall’altra si continua a fare una opposizione sterile e fine a sé stessa.

Collettivo Comunista Genova City Strike