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Perché scendere in piazza il 26 marzo

Appuntamento a Genova, ore 9,30 Via Assarotti davanti all’Ufficio Scolastico Regionale

Non è difficile intuire come dietro la maschera carnevalesca delle misure emergenziali e contingenti, si stia plasmando una riconfigurazione dell’istruzione pubblica in chiave privatistica e autonomistica.

Il disegno politico che vuole legare indissolubilmente la scuola e l’università pubblica all’impresa, processo già in atto da decenni, non trova resistenza da parte di alcun partito politico, e rinforza quell’impianto ideologico culturale che, con la retorica della “crisi”, vuole confermare quel modello che, proprio durante la crisi, si è rivelato distruttivo.

All’indomani dell’insediamento del Governo Draghi, le parole d’ordine sulla scuola sono da subito state “digitalizzazioni” ma anche “soft skill” e “competenze”.

Tutto questo, con lievi variazioni, per università e per l’istruzione dalle elementari alle superiori.

La neo ministra dell’Università Cristina Messa, delegata italiana del programma Horizon 2020, ha già chiarito la necessità di “un adeguamento al bisogno di competenze dell’industria”: come se l’università italiana non si fosse già strutturata da decenni per seguire le necessità territoriali di Confindustria e ridefinire diritti fondamentali sulla base di una logica meritocratica e delle competenze.

Nel frattempo, è ancora sospesa la nomina per la presidenza del CNR, principale ente di ricerca pubblico italiano.

La Ministra ha già annunciato una nuova procedura di elezione: non vi sarà una graduatoria dei selezionati ( per altro già pubblicata dal MIUR con il precedente ministro) e il candidato ideale dovrà presentare una “elevata qualificazione tecnico scientifica”; queste parole nulla sembrano significare se non il chiaro intento di nominare un candidato, che con la falsa legittimazione di una competenza tecnica, porti avanti un determinato tipo di interessi.

Non va ovviamente meglio per l’istruzione superiore e inferiore. La retorica sugli investimenti e sugli spazi si è scontrata da subito con la realtà. La scuola pubblica ha subito il solito trattamento fatto di tagli, precarietà diffusa, mancanza di chiarezza su norme e regolamenti che sono andati peggiorando (a questo proposito l’ennesimo accordo sulla contrazione al diritto di sciopero è il caso più eclatante). Il neo ministro Bianchi, appena arrivato ha confermato che la didattica digitale non sarà affatto una parentesi legata all’emergenza ma diverrà strutturale. Un regalo alle grandi compagnie del digitale (tra le poche a fare profitti immensi durante la pandemia) e una pietra tombale sul diritto all’istruzione. Non migliori le varie affermazioni sull’allungamento del tempo scolastico in estate: stupisce come, ogni nuovo ministro, fosse pure “tecnico”, dimostri una grande arroganza unita a una notevole ignoranza sul reale funzionamento delle scuole (che a giugno e luglio sono aperte da anni per i recuperi e cominciano sempre il 1 settembre con altri recuperi e con le procedure di avvio). La didattica digitale impatta sul lavoro del personale (che lavora molto più di prima) ma soprattutto sulla trasmissione dei saperi che è molto al di sotto dei livelli minimi. La frustrazione del corpo docente è ai massimi livelli.

Senza contare il danno alle relazioni sociali che dura oramai da un anno.

Le scuole continuano ad essere l’anello sacrificabile della pur necessaria lotta al contagio. Si possono chiudere a piacimento dall’oggi al domani, ma nessuno ha mai pensato di fornire gratuitamente al personale DPI autotutelanti sostituite con mascherine usa e getta, costringendo studenti a personale a far da se. Evidentemente è un settore che ai padroni e alla politica non interessa se non come fucina di nuovi sfruttati.

Il 26 marzo ci sarà una risposta, magari non sufficiente ma indispensabile. La scuola e l’università che usciranno dal periodo pandemico non saranno sicuramente migliori di prima. Ma non sarà solo un problema per chi lavora e studia. Sarà soprattutto un problema per le classi popolari. Il modello di istruzione che piace a chi ci governa acuirà le differenze sociali tra chi potrà frequentare scuole di serie A e di serie B. Il tutto in coerenza con una idea di società in cui i ricchi e i facoltosi avranno l’agio di studiare e i poveri dovranno arrangiarsi, dovranno introiettare solo alcune conoscenze di base per lavori sempre più dequalificati.

Il 26 marzo dovremo dire con forza che l’istruzione che ci interessa e che dobbiamo salvare dovrà essere non solo pubblica, gratuita e universale ma anche una palestra di resistenza per l’uguaglianza sociale e contro le differenze di classe.

Collettivo Comunista Genova City Strike