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61 anni fa, il 30 giugno 1960. E oggi cosa facciamo?

Questo è il testo dell’intervento alla conferenza di lancio del corteo del 30 giugno 2021. Il corteo si terrà mercoledì 30 giugno alle 18,30 partendo da Piazza Alimonda

Innanzitutto, vogliamo iniziare ringraziando Genova antifascista per l’opportunità che ci viene fornita con questo intervento, in questa sede. Il nostro intervento non sarà a braccio ma leggiamo un testo scritto. Data l’importanza, abbiamo preferito discuterne e proporre un testo collettivo e maggiormente meditato. Ovviamente vi chiediamo un minimo di pazienza in più. Il testo seguente è scritto da Genova City Strike e sottoscritto anche da Potere al Popolo Genova e CALP

Nel ricordare oggi, nel 2021, il 30 giugno del 1960, anche non volendo, si corre il rischio di scivolare nella ritualità e nella commemorazione. Di per sé non sarebbe neppure un grosso problema se di fronte non avessimo una situazione molto complessa, all’interno di una crisi che caratterizza un lungo periodo delle nostre vite e che, come tutto lascia pensare, avrà delle conseguenze sulla nostra situazione sociale e politica per un intero periodo.

Conseguenze che, almeno ad oggi, facciamo ancora fatica ad inquadrare. Data l’eccezionalità dei tempi sarebbe quindi un vero peccato se i nostri sforzi e le nostre azioni non fossero inseriti nel nostro mondo, non fossero in grado cioè di aggredire le contraddizioni del nostro presente.

I fascisti, o meglio il pericolo fascista, non è un qualcosa che si elimina. Non è solo che non dobbiamo darci pace neppure quando esistesse anche un solo fascista sul pianeta. E’ che il fascismo, nelle sue diverse declinazioni, è un problema sempre esistente. Una latenza della società contemporanea, a volte la latenza si manifesta, a volte rimane tale. Si dirà che è per questo che non bisogna abbassare la guardia. Ovviamente siamo d’accordo, ma commetteremo un errore, pur ovviamente in buona fede e dalla parte giusta della barricata, se non analizzassimo bene il fenomeno.

La prima cosa che dovremmo chiederci, in fondo, è questa? Cosa è il fascismo? Come si esplica l’azione di questo cancro nella società? Oggi, il fascismo, è paragonabile a quello del 1960?

Al di là dei soggetti, di cosa pensano di loro, di come si rappresentano, il fascismo di allora non può essere quello di oggi. Non possono esistere, in politica, due cose uguali in situazioni oggettivamente molto differenti. Negli anni 60, l’Italia, l’Europa e i paesi industrializzati uscivano da un primo periodo di ricostruzione post bellica. Si avviavano verso un periodo di progresso. Detto, in altri termini, essendo il capitalismo e le sue politiche, il motore reale nelle nostre società, ci si avviava allora, anche come risposta alla possibile penetrazione comunista, verso anni di conquiste, di miglioramenti sociali, salariali, democratici. Oggi è così? O è esattamente il contrario? Nel luglio 1960, a Genova, a Reggio Emilia e in tutta Italia si reagì a un progetto sbagliato, pericoloso, inaccettabile ma sostanzialmente di basso respiro perché rappresentava il tentativo di proporre una politica reazionaria che in quel momento non aveva gambe. Oggi è il contrario. Oggi la crisi pandemica impatta su società in cui il capitalismo è in una crisi che data oramai dagli anni 70, che ha superato, non indenne, molti passaggi intermedi che ne hanno aggravato le condizioni di salute. Una crisi di un sistema che, ovviamente, scarica i costi dei propri fallimenti, in ogni campo, in particolare sulle fasce più deboli e sui lavoratori. Una crisi, che, al netto delle fantasie di ripresa, di creazione di una nuova fase, di nuovo periodo, fantasie propagandate dai vari vertici come quelli recenti del G7 o della NATO, non da segni di essere conclusa. In altre parole, con un capitalismo che da decenni ha smesso i suoi abiti anche falsamente progressisti per entrare nella sua fase regressiva.

Allora, se come crediamo, il fascismo è una delle possibili risposte a una crisi del sistema dominante, allora oggi è molto diverso dal luglio 60. Ma, se vogliamo, pur nella diversità, oggi è più pericoloso di allora.

Più pericoloso perché le condizioni lo rendono una inquietante possibilità.

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Ma, a questo punto, ci dovremmo chiedere chi sono oggi i fascisti, che faccia hanno, cosa fanno, come si rappresentano?

L’interpretazione classica del fascismo oggi ha ancora validità: una risposta possibile a una crisi sistemica. Ma non ce l’ha più se lo intendiamo come possibile risposta padronale all’offensiva del movimento operaio. Oggi una risposta forte del movimento operaio, a livello generale, diffuso, capillare, nonostante gli sforzi di chi ci prova e che va sostenuto, semplicemente non esiste. Questo non significa, è ovvio, che vada bene cosi. Che non è il caso di risollevarne le sorti, perché allora il rischio fascista diverrebbe più serio. Significa esattamente il contrario. Perché la condizione di crisi e l’assenza programmatica di alternative sociali, sono questi oggi i pericoli più gravi.

Allora, su questo occorrerà fare un ragionamento serio. Per capire cosa vuol dire essere antifascisti oggi. Per capire cosa fare.

Perché, badate bene, non è vero che di antifascismo oggi non se ne parla. Anzi, se vogliamo essere seri, occorre dire che se ne parla addirittura troppo, perché se ne parla male, perché ciò di cui si parla è un inganno in cui non dobbiamo cadere.

Di cosa si parla infatti oggi? Quale è l’antifascismo da operetta di cui si discute?

Qualche mese fa si è insediato il Governo Draghi. Dopo il Conte bis siamo tornati ai tempi dell’unità nazionale, dei governi dei migliori come già con il Governo Monti. E immediatamente, i cosiddetti “nemici mortali” della destra e della cosiddetta sinistra sono finiti tutti al governo. Chi, dall’estrema destra, al Governo formalmente non c’è, lo è di fatto, sostenendolo interamente come vari gruppi di destra cosiddetta sociale.

La logica direbbe, che la maschera, che la finzione della lotta mortale tra due civiltà, quella fascista e reazionaria versus quella antifascista e progressista sarebbe dovuta cadere. Ma da noi, questa logica narrativa, quella imposta dal sistema dei media, non solo cade ma addirittura si rafforza.

Oggi, molto più di un anno fa, il dibattito verte su una forma di scontro tra opzioni che ricorda lo scontro antifascista, lo evoca, lo simula lo trasforma in uno spettacolo senza contenuti. Si tratta, ovviamente, un antifascismo falso, da operetta come detto, ma come tale viene presentato.

Uno scontro che verte su una strumentalizzazione del tema, pur sacrosanto e non opponibile ai diritti economici, che è quello dei diritti civili. Nessuno di noi, per nessun motivo, deve avere dubbi sulla lotta ad ogni tipo di discriminazione di etnia o di genere. Ma non è questo il punto.

Di queste cose si discute, drammaticamente, da anni. Ma la drammatizzazione è soltanto una farsa. Un giochino in cui fare finta di dividersi quando, sull’essenziale, l’accordo è invece totale.

Un gioco in cui, alla fine, non solo la classe politica italiana agisce all’unisono contro gli sfruttati, i lavoratori, i poveri ma, a ben vedere, neppure riesce a far passare norme minime di civiltà sui diritti civili. Dove va in onda, a puntate ricorrenti, una manfrina in cui le discriminazioni rimangono. E si incancreniscono.

In attesa della prossima narrazione sul presunto scontro di civiltà tra la destra e la cosiddetta sinistra.

Si badi che questo è un punto decisivo che può dirci varie cose, se lo interpretiamo correttamente. Se riusciamo, come dovremmo saper fare, a uscire da una situazione in cui siamo tutti inseriti in un reality show infinito. In cui finiamo per utilizzare tutte le armi dei nemici. Finendo per essere, in teoria rivoluzionari, ma in realtà solo una parte dello spettacolo in cui giochiamo il ruolo di comparsa. Che risulta essere muta anche quando prova a parlare.

Uno scontro simulato tra civiltà quindi, una finzione democratica.

E che rende il pericolo fascista ancora più reale, molto al di là di quanto appaia.

Sui diritti sociali, sui diritti alla convivenza dei popoli, sul diritto alla pace, invece, non fanno neppure finta di litigare. Su questi temi, nel partito unico del capitale che governa l’Italia, l’accordo è totale. Le false alternative politiche non hanno problemi ad unirsi per difendere lo stato razzista e coloniale di Israele. Non hanno problemi ad unirsi con altri cosiddetti “stati democratici e progressisti” contro i cosiddetti nemici del nostro favoloso sistema come Russia, Bielorussia, Cina, Venezuela etc…., contro coloro che, pur prescindendo da una analisi dei governi e dei sistemi che applicano, hanno il solo torto di avere un rapporto diverso, un diverso approccio verso le pretese del capitale

Li, improvvisamente, trovano la quadra. In nome di un concetto discutibile di libertà di cui si fanno vanto, non esitano a sostenere oppositori politici che sono in realtà esponenti del fascismo più retrivo. Sostengono colpi di stato e presidenti autoproclamati nonostante siano esponenti dell’estrema destra.

Ma ovviamente, la quadra non la trovano solo nella politica agli esteri. La trovano anche all’interno del perimetro nazionale. Sono infatti, nel nostro paese, tutti convinti che occorra sbloccare immediatamente i licenziamenti, fornire nuovi soldi ai padroni, abbassare le tasse ai ricchi, deprimere ulteriormente sanità, scuola, welfare. Non esitano a schierarsi con i trafficanti di armi autoctoni che insanguinano varie zone del mondo causando massacri, distruzioni, carestie e migrazioni.

Allora, questa famosa lotta tra i due campi: il fascismo e l’antifascismo è davvero reale o è una finzione? La risposta ovviamente per noi è scontata.

Su questa finzione noi cosa dobbiamo fare?

Possiamo unirci in un fronte antifascista con chi, magari più educatamente, in maniera più colta, con un linguaggio più decente, fa le stesse cose? Applica le stesse politiche?

Dovremo farlo forse perché esiste un pericolo imminente?

O quel pericolo imminente forse sono le politiche contro la nostra classe? Che creano il principale humus in cui il pericolo fascista prospera?

In questo senso forse vale la pena soffermarci con un minimo di attenzione in più su quello che possiamo certamente individuare come la questione centrale. E cioè il punto dove il fascismo mostra il suo volto più orribile: quello della discriminazione legata alle etnie e al colore della pelle.

Anche qui, tra progressisti vari e destra reazionaria ci sono molti punti in comune. Nessuno di loro infatti esista a schierarsi con padroni e trafficanti di armi. Nessuno di loro ha nulla da dire se non ribadire concretamente l’appoggio alle nostre multinazionali che sfruttano i territori e le loro risorse. Nessuno di loro esita quando si tratta di appoggiare guerre, golpe militari e sottrazioni di sovranità a quei paesi che non rispettano le regole definite universali del mercato, dello sfruttamento.

Nessuno di loro esita quando si tratta di realizzare, in primo luogo come effetto collaterale, quelle condizioni che spingono migliaia e migliaia di uomini e donne a lasciare il proprio territorio e a migrare. Apparentemente litigano sul contrasto all’immigrazione. Ma c’è davvero una qualche differenza sostanziale tra coloro che si fanno i selfie sorridenti perché viene impedito uno sbarco di immigrati e coloro che in silenzio, apparentemente dicendo il contrario, applicano le stesse politiche criminali?

Esiste davvero una differenza reale tra chi, alimentando la divisione tra i lavoratori, parla di situazione non gestibile proponendo la supremazia nazionale e chi straparla di immigrazione dicendo che ci servono braccia? Esiste davvero una politica che si dice antifascista, che parla di diritti e di accoglienza mentre mette su finte cooperative dove i rifugiati vengono mandati a lavorare gratis, per dimostrare a qualcuno che esisterebbe un modello virtuoso. Un modello progressista, un modello democratico. Ma che alla fine altro non è che una forma, neppure troppo edulcorata, di schiavismo?

Allora la domanda è retorica. Esiste davvero una volontà, da parte di qualcuno, di risolvere questa questione dirimente? Che non è solo una questione di accoglienza ma diventa una questione sociale in cui l’unica possibilità è smettere di depredare i territori, è smettere con le politiche discriminatorie utili solo ad avere a disposizione manodopera dequalificata, ricattabile.

Da usare con una duplice prospettiva: l’aumento immediato dei profitti, l’abbassamento dei diritti per tutti.

Con il piccolo inconveniente. Che grava su di noi, che grava sulla democrazia. La guerra tra poveri, il razzismo, la risposta suprematista come l’unica in campo a poter essere rappresentata, ammessa.

Pensiamo davvero che per sconfiggere il fascismo sia utile schierarsi con la parte più colta di questo partito unico dello sfruttamento?

La nostra, a ben vedere, non è neppure una scelta. Non è, come qualcuno dice, giocare con il fuoco e non capire che contro la barbarie bisogna unirsi in un fronte antifascista esteso.

Noi non giochiamo con il fuoco, noi dobbiamo capire e saper spiegare che fare quella cosa li non si può perché non è utile, non risolve il problema ma lo aggrava.

E dobbiamo anche andare oltre. Dopo aver compreso che il fascismo è una possibilità reale, purtroppo, a causa del fallimento di un sistema economico e politico, bisogna anche comprendere come la nostra lotta può fare un passo in avanti. Con la consapevolezza che la crisi colpisce tutti. Non solo i lavoratori, non solo gli sfruttati, ma diviene una crisi complessiva. In tutto questo, il potere usa la politica per offrirci come prospettiva lo status quo della crisi, della disuguaglianza, dell’impoverimento o, in alternativa, della chiusura in se stessi, nella propria nazione. Una finta contrapposizione che va rifiutata a priori.

A cui va contrapposta una ipotesi di ribellione, in grado di parlare a vari soggetti in nome di un concetto universalista e non particolarista, in altre parole internazionalista. Una ipotesi che individui con nettezza chi sono i soggetti in grado di sconfiggere la barbarie del sistema e la reazione fascista.

Questi soggetti sono i deboli, gli sfruttati, i lavoratori.

Questo è l’unico fronte antifascista possibile. Questa è l’unica alleanza antifascista oggi. Una alleanza da costruire pazientemente, nelle lotte da sostenere, nella creazione di organismi e organizzazioni unitarie tra chi le lotte le fa, per riuscire a farle meglio. Una alleanza che ha anche bisogno di essere organizzata, di avere comuni ambiti di elaborazione e discussione. E che si ponga anche la prospettiva di una rappresentanza non solo sociale ma anche politica con quei soggetti che intende rappresentare.

Una alleanza che per sua natura è l’unica in grado di invertire la rotta in cui il capitalismo si sta incagliando. Invertendolo non verso un grado superiore di barbarie ma verso un nuovo orizzonte solidale, di pace, di collaborazione, di uguaglianza.

Un orizzonte in cui, ogni 30 giugno, scenderemo ancora in piazza. Con la stessa rabbia e determinazione di sempre. Ma nel quale non dovremo più gridare non passerete. Perché i fascisti e chi li usa, saranno stati sconfitti, non saranno passati nemmeno questa volta.

E dove, la determinazione, l’organizzazione, la giusta analisi potrà alla fine riportare il fascismo in quella “pattumiera della storia” in cui il movimento operaio lo aveva cacciato dopo la seconda guerra mondiale. E dove un nuovo modo di produrre, di consumare, di vivere, di relazionarsi con il prossimo e con gli altri sarà il contesto in cui quella pattumiera sarà per il fascismo non solo la storia, ma il presente e il futuro. Perché le loro idee non avranno più ragione di interessare nessun cittadino, nessun lavoratore e nessun sfruttato.

In cui il fascismo, non farà più paura perché, non esisteranno neppure più i padroni in grado di utilizzarli per i propri scopi.

Collettivo Comunista Genova City Strike

CALP

Potere al Popolo Genova