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La crescita di Slang a Genova

Anche l’edizione genovese di Repubblica, ogni tanto, si occupa di conflitto di classe, alcune volte addirittura dalla parte giusta……… . Nell’edizione di oggi, 2 maggio 2022, un articolo che parla di Slang USB nella nostra città. L’articolo lo trovate qua. Per contattare lo Slang a Genova cercate e iscrivetevi al canale telegram (https://t.me/SLANGGenova).

Oppure potate contattarli sulle loro pagine (ad esempio qua)

Lo slang è un insieme di parole ed espressioni che non appartengono al lessico standard: è un linguaggio che inventa strade nuove. Non a caso questo è il nome scelto da un sindacato atipico, tanto quanto il mondo del lavoro a cui si rivolge. Slang è l’acronimo di Sindacato del Lavoro Autonomo di Nuova Generazione, progetto innovativo dell’Usb che, dal 2017, sta tentando l’impossibile: organizzare il frammentato mondo del lavoro precario.
A Genova esiste dal settembre 2021 e, nonostante la giovane età, ha le idee molto chiare sulla propria missione: creare una coscienza collettiva pur nell’eterogeneità delle forme contrattuali rappresentate, ottenere il salario minimo di 10 euro l’ora e insegnare l’abc dei propri diritti ai lavoratori, affinché ne siano consapevoli.

“Abbiamo iniziato questo percorso perché tante e tanti di noi in prima persona svolgono lavori precari, se non addirittura in nero – spiega all’Agi Sara Capaldini, 22 anni, sindacalista di Slang – Al momento siamo una decina: tra di noi ci sono rider, lavoratori dello spettacolo, babysitter, facchini, lavoratori stagionali, della ristorazione. La nostra ambizione è organizzare quel che ad oggi è totalmente inorganizzabile”.
Come? “Provando a costruire un gruppo di lavoratori e lavoratrici che lottano nella stessa direzione, nonostante le differenze contrattuali, al fine di portare avanti rivendicazioni in vari ambiti, creando una coscienza di classe”.
Riscrivere insomma le regole della tutela dei lavoratori, finora dettate dai confederali che si sono formati tra la metà degli anni ’40 e ’50 del secolo scorso. Tra le prime differenze che balzano all’occhio, la poca importanza delle tessere: “La maggior parte dei lavoratori che abbiamo sono molto ricattabili ed evitiamo di chiedere come prima cosa la tessera – spiega Sara – Vogliamo che sia il lavoratore, da solo, a comprendere che il tesseramento non è una bandierina nostra da mostrare, ma una sua garanzia: non è un indicatore di quanto lavoriamo”.