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Bolivia: il popolo e i lavoratori in piazza per la democrazia

In Bolivia sono in corso da giorni gigantesche manifestazioni di protesta indette dai sindacati e dai movimenti sociali. La richiesta immediata è la conferma della data per le elezioni presidenziali. Già rimandate a maggio, dovevano tenersi il 6 settembre ma il tribunale elettorale le ha rimandate a ottobre. Formalmente il rinvio è dovuto a norme di sicurezza vista la forte incidenza dell’epidemia da Covid-19. In settembre in Bolivia è previsto il picco dei contagi.

Nella realtà si tenta di bloccare a tempo indeterminato il processo elettorale visto che tutti i sondaggi danno per scontata la vittoria del MAS (Movimiento al Socialismo) il cui leader Evo Morales è in esilio dopo il golpe successivo alla vittoria elettorale nel 2019.

Il candidato del MAS è l’ex ministro dell’economia Luis Arce accreditato del 40% dei consensi e probabile vincitore già al primo turno.

Di seguito una serie di articoli pubblicati su riviste in italiano che raccontano la situazione che si è venuta a creare. Raccontano la crisi che si è abbattuta sui lavoratori boliviani, il razzismo della giunta golpista, l’incapacità di reagire alla diffusione del virus.

L’esilio di Morales era giunto a seguito di una serie di proteste di piazza in seguito alla vittoria elettorale del 2019. L’OAS (Organizzazione degli stati americani) aveva parlato di irregolarità nel voto ma le analisi successive hanno mostrato che la vittoria di Evo Morales e del MAS erano state assolutamente regolari.

Durante le proteste di piazza, alcune organizzazioni di sinistra, anche radicale, si sono affrettate a criticare Morales e il MAS accusando in vario modo il leader indigeno reo di aver vinto le elezioni per la terza volta consecutiva. Denunciandone i limiti, la scarsa propensione democratica, il non rispetto dei diritti civili e di genere. Il tutto con un tempismo decisamente discutibile, senza comprendere la realtà della posta in gioco, confondendo un golpe per una rivolta popolare, tralasciando totalmente i risultati sociali ed economici per le classi meno abbienti, per gli indigeni e per i lavoratori ottenuti con i governi del MAS

Dopo il golpe organizzato dalla destra, molte manifestazioni popolari sono state soffocate dalla repressione del governo golpista. La principale organizzazione sindacale boliviana, la COB, è, in questi giorni, la principale organizzatrice delle marce e degli scioperi che richiedono a gran voce le elezioni per il 6 settembre.

Buona lettura:

Da Jacobin ITA

Intervista a Juan Carlos Huarachi, segretario della COB (Central Obrera Bolivia) per il comparto minerario

Nove mesi dopo che gran parte dei media occidentali ha salutato il «ritorno della democrazia» in Bolivia, il governo di transizione guidato da Jeanine Áñez ha rimandato di nuovo le elezioni presidenziali. Nonostante il violento colpo di stato militare che ha rovesciato Evo Morales a novembre, nelle ultime settimane il candidato per il suo Movimiento al socialismo (Mas), Luis Arce, aveva raccolto circa il 40 % dei voti per al primo turno, il triplo della percentuale della destra di Áñez.

I sostenitori del Mas temevano che le elezioni sarebbero state cancellate; e questa settimana, il regime di Áñez ha annunciato che il voto non avrà luogo il 6 settembre come previsto, ma il 18 ottobre. I movimenti sociali sono in ebollizione. Il segretario esecutivo della Central Obrera Boliviana (Cob) Juan Carlos Huarachi ha lanciato un ultimatum di settantadue ore per cancellare il rinvio, altrimenti la più grande organizzazione sindacale della Bolivia avrebbe indetto lo sciopero generale e praticato blocchi stradali in tutto il paese.

Huarachi è un minatore ed è il più importante rappresentante del movimento sindacale del paese. Con Anton Flaig, collaboratore di Jacobin, ha discusso delle condizioni in cui si trovano i lavoratoridopo il colpo di stato militare di novembre, degli effetti della pandemia di Covid-19 sul paese e degli sforzi della destra per impedire al Mas di tornare al potere.

In che condizioni si trovano al momento i lavoratori boliviani?

Già negli ultimi mesi del 2019, molte società statali si stavano chiudendo i bilanci in deficit e ora si avvertono i primi effetti di una crisi economica sia interna che globale. Tutto questo ci colpirà direttamente. Quindi, abbiamo davanti giorni difficili. Oggi registriamo a licenziamenti di massa, non solo nel settore pubblico ma anche in quello privato.

Il governo aveva dichiarato pubblicamente che non ci sarebbero stati licenziamenti, ma hanno fallito. Sono statti i primi a iniziare a licenziare. I ministeri della cultura, dello sport, della comunicazione e altri vice-ministeri e direzioni sono stati chiusi.

C’è un gran numero di lavoratori licenziati e, peggio ancora, nel settore produttivo si tagliano i salari. Giorno dopo giorno, ci arrivano sempre più lamentele.

Secondo l’ex presidente Evo Morales, la crisi causata da Covid-19 potrebbe trasformarsi in una crisi umanitaria. Come pensi se ne possa uscire?

Abbiamo sempre proposto che il governo nel reagire a questa situazione si coordinasse con le organizzazioni sociali del paese. In questo caso, era importante gestire queste situazioni prima dei decreti emanati dal governo durante l’emergenza sanitaria e la quarantena: la popolazione non era preparata a tutto questo.

Ci sono ancora molti settori della società boliviana che si chiedono se il Coronavirus esista o meno. Questa è la nostra preoccupazione. È importante coordinarsi e considerare anche come possiamo riattivare l’economia reale.

Vi è una grande percentuale della popolazione nel settore del lavoro informale. Cosa ne pensi della situazione in cui si trovano, nel mezzo della pandemia?

Per il governo, dare un’indennità di 500 bolivianos [meno di 60 euro] a famiglia è un risultato apparentemente senza precedenti. Ma per i boliviani che lavorano, giorno per giorno, quella somma non significa nulla. Esistono famiglie composte da quattro, cinque, sei o anche dieci persone. Sfortunatamente, questa è la realtà che sta vivendo il nostro paese.

I primi settori a essere colpiti economicamente sono stati il turismo, l’ospitalità, la gastronomia e, naturalmente, il commercio informale. Il loro reddito è stato ridotto e ciò li ha colpiti molto, e potrebbe essere impossibile tornare indietro. Anche i lavoratori informali vengono colpiti irreversibilmente. Un’altra area interessata è il trasporto, dove si concentra gran parte del contributo economico dello stato.

Presumibilmente, esiste un decreto per riattivare l’apparato produttivo con una proposta per un piano per il lavoro. Innanzitutto, ci hanno detto che sarebbero stati creati 600 mila posti di lavoro. Ma poi ci hanno detto che sarebbero stati solo 11.000 …

La crescita che lo stato ha perso in questi mesi è irreversibile. Per recuperare qualcosa ci vorrà come minim una legislatura quinquennale. La Bolivia è un esportatore di risorse naturali. Purtroppo questa è la nostra realtà, non siamo un paese industrializzato. Quindi, per riavviare la crescita economica, abbiamo bisogno di pianificare.

Che misure adotterà la Central obrera in assenza di elezioni a settembre?

In questo momento, la situazione politica cambia ogni momento, giorno e ora, ma c’è un limite. Stiamo vivendo una vera crisi economica e sanitaria. Quindi, i lavoratori chiedono di poter votare.

Dopo le elezioni avremo un governo eletto democraticamente e saremo in grado di discutere le nostre esigenze sociali, settore per settore, con nuove politiche, con nuovi programmi. Questo è il minimo che i boliviani si aspettano.

Hai incontrato l’ex ministro dell’economia Luis Arce, che è il candidato Mas in queste elezioni. Com’è il rapporto tra lui e la Cob?

Abbiamo portato sempre al governo la richiesta di aumentare gli stipendi. Quindi, negli ultimi anni, abbiamo avuto discussioni con Luis Arce, che ha sempre cercato di occuparsi dell’economia.

Dal primo governo di Evo Morales fino al 2019, ci sono stati aumenti salariali e la Bolivia è stata il primo paese in tutto il Sud America per la crescita economica e lo sviluppo. Non sono io a dirlo, ma le organizzazioni internazionali. Come candidato alla presidenza, devi avere proposte forti per fare ripartire l’economia in qualche modo.

Quindi ora, con la crisi economica causata dal Covid-19, secondo la Cob Arce è un buon candidato?

È facile vedere chi ci ha governato bene e chi ci ha governato male. Il modello economico che lo stato segue è decisivo per riattivare l’apparato produttivo. Oggi, il popolo boliviano è consapevole che negli ultimi quattordici anni i salari sono cresciuti. Abbiamo generato entrate allo stesso tempo sviluppando e facendo un passo fondamentale verso l’industrializzazione.

Ora è arrivata questa crisi, questa pandemia, che è diventata una crisi globale. Lo ripeto: sicuramente non sarà facile rilanciare l’economia. La domanda per noi non riguarda solo il candidato ideale, ma il più professionale e tecnicamente orientato, in modo da far ripartire l’economia.

Quali sono le differenze tra le relazioni della Cob con l’attuale governo e il precedente governo sotto Evo Morales?

È semplice. Il governo attuale non ci ha mai incontrato. Gli abbiamo inviato documenti, è stata loro presentata la richiesta dei progetti per il 2020. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta, né pubblicamente né formalmente. Neanche le rivendicazioni sui diversi settori – in termini di produzione, estrazione, produzione, costruzione, estrazione di idrocarburi e petrolio – hanno ricevuto risposta, tantomeno le nostre richieste sociali.

Ad eccezione del ministero del lavoro – che, sotto pressione, ha in qualche modo affrontato le questioni legali di molte organizzazioni sindacali affiliate alla Cob – non siamo nemmeno stati convocati per un incontro. Nemmeno per discutere delle questioni strutturali che investono i lavoratori, nonostante la loro importanza per l’economia boliviana.

In confronto, come sono stati gli incontri con il gabinetto dell’ex presidente Evo Morales?

Ogni secondo martedì del mese, Evo Morales aveva in programma di incontrare molte organizzazioni sociali, per discutere di questioni strutturali. Si stava coordinando anche con le autorità locali, perché i lavoratori non si affidano solo allo stato centrale. Ci sono lavoratori che dipendono dal settore privato, così come i governatori e i sindaci comunali.

Dico sempre che qualsiasi domanda sociale in qualsiasi settore, grande o piccolo, diventa sempre una questione economica più ampia. Una richiesta non sarà [soddisfatta] al 100%, ma abbiamo sempre superato il 60 o il 70% delle richieste sociali [durante il governo di Morales].

Potremmo farlo con la stabilità economica e politica. La domanda sociale viene soddisfatta con il denaro. Con Evo, in questi ultimi due anni sono stati fatti sforzi strutturali e strutturali, costruendo la cosa più importante: l’assistenza sanitaria gratuita per tutti i boliviani.

I partiti di destra in Bolivia hanno dimostrato di essere pronti a unirsi per affrontare il Mas. Cosa ne pensi di questo?

Dopo aver visto la realtà e il contesto politico-elettorale che sta vivendo il paese, penso che abbiamo già tracciato una linea. Il Mas vincerà le elezioni al primo turno. Quindi, l’ala destra sta cercando un’alternativa per far fronte a questa situazione.

Sono tutti uniti, tutto a destra, tutta l’opposizione [contro il Mas]. Il governo di transizione sta commettendo molti errori, non solo con atti di corruzione. Ma non hanno altra scelta che unire le forze.

Il presidente di transizione afferma che le elezioni potrebbero causare un’emergenza sanitaria. . .

È solo un’altra scusa per evitare le elezioni del 6 settembre. Hanno persino inviato un documento al Tribunale elettorale supremo per dimostrare che non ci sono le condizioni affinché abbia luogo il voto. Ma tutto questo non corrisponde a quello di cui i boliviani hanno bisogno e si aspettano.

Invece di cercare scuse, dovrebbero fare un lavoro di sensibilizzazione sociale. Dopo tutto, le elezioni si sono svolte nella Repubblica Dominicana e in altri paesi.

Ci sono famiglie che soffrono per situazioni pesanti, che nessuno si augura. Ma quello che stiamo vivendo, riguarda anche altri paesi. Per questo siamo solidali con molti fratelli a livello internazionale.

*Juan Carlos Huarachi è segretario della Central obrera boliviana. Anton Flaig è attivista nel Wiphala Movement Germany e studia scienze politiche e sociologia.Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro

Da Peacelink

Di Davide Lifodi

Ci risiamo. Ancora una volta, approfittando dell’emergenza sanitaria che sta mettendo in ginocchio l’intera America latina, il governo de facto della presidenta Jeanine Añez ha colto la palla al balzo per rinviare di nuovo le elezioni presidenziali boliviane, già rimandate al 6 settembre e adesso spostate al 18 ottobre sulla base dell’andamento della curva epidemiologica del Covid-19.

Se va riconosciuto che organizzare delle elezioni in piena pandemia non è effettivamente semplice, soprattutto in un paese come la Bolivia dove il picco dei contagi è atteso proprio all’inizio di settembre, ma che già da tempo è messo a dura prova dall’emergenza sanitaria, non si può nemmeno tacere sull’evidente utilizzo strumentale del virus per posticipare, per la terza volta, le presidenziali, inizialmente previste per il 3 maggio. Peraltro, la decisione del Tribunale supremo elettorale non sorprende poiché risponde alle indicazioni sull’andamento della curva epidemiologica provenienti dal Comite de Científicos vicino al governo golpista.

Certo, lo svolgimento delle elezioni potrebbe far aumentare ulteriormente il numero dei contagi, ma in un contesto in cui il governo ha abbandonato del tutto a se stessa la popolazione di fronte al dilagare coronavirus, finendo addirittura per essere coinvolto in scandali per corruzione relativi all’acquisto dei respiratori, il nuovo rinvio delle presidenziali rappresenta un chiaro ed evidente timore del giudizio delle urne.

Contagiata a sua volta, Jeanine Añez governa il paese dall’isolamento, ma per lei, come per gran parte dei protagonisti del golpe dello scorso novembre, appartenenti alle elites boliviane, sono a disposizione medici, farmaci e terapie intensive specializzate. Non solo. In più di una circostanza ministri e mezzi di comunicazione governativi hanno definito indigeni, contadini e masistas come ignoranti perché sono stati costretti a uscire di casa, durante la quarantena, in quanto vivono di lavori perlopiù informali. Per questi motivi il nuovo rinvio delle elezioni si configura come un altro colpo di stato, come ha sostenuto Morales, forte dei sondaggi che evidenziano il netto vantaggio della coppia Luis Arce e David Choquehuanca sui candidati delle destre di Comunidad Ciudadana, Carlos Mesa e Gustavo Pedraza, e di Juntos, con il ticket Áñez e Samuel Doria Medina.

Il governo golpista ha come unico obiettivo quello di guadagnare tempo per rimandare le elezioni, sbandierando le false preoccupazioni per la salute della popolazione e, al tempo stesso, proseguire nella persecuzione contro dirigenti sociali e candidati del Movimiento al Socialismo. Del resto, già da tempo, sui social network era iniziata la campagna dell’ultradestra boliviana per far rinviare le elezioni. Luis Fernando Camacho, leader evangelico e comandante dei gruppi paramilitari di Santa Cruz, aveva scritto su twitter che il governo doveva scongiurare il ritorno alle urne perché avrebbero trascinato di nuovo il paese nella dittatura. Come sottolineato da Maëlle Mariette nell’edizione di luglio di Le monde diplomatique/il manifesto, i paramilitari di Santa Cruz sono nati sull’esempio del falangismo franchista spagnolo e considerano il loro paese assediato da gruppi etnici arretrati, gli aymara e i quechua.

Inoltre, il 24 luglio scorso, sempre su twitter, il ceo di Tesla, Elon Musk, aveva fatto capire che gli Stati uniti erano pronti a creare le condizioni per un colpo di stato in Bolivia perché il loro vero interesse è quello di procurarsi il litio boliviano.

Più del 50% dei depositi mondiali di litio si trovano in Argentina, Cile, ma soprattutto in Bolivia, in particolar modo nel Salar de Uyuni. Tempo fa fu lo stesso Samuel Doria Medina, che corre per le presidenziali (se mai ci saranno) con Jeanine Áñez, ad ammettere che Musk aveva parlato con il presidente brasiliano Bolsonaro sull’eventualità di costruire una fabbrica di Tesla prima in Brasile e poi nel Salar de Uyuni, mentre Morales, al contrario, è sempre stato convinto che i proventi del litio avrebbero dovuto rappresentare un’opportunità per tutta la popolazione boliviana e non solo per le multinazionali.

Le presidenziali boliviane hanno assunto, anche per gli Stati uniti, sempre maggiore rilevanza poiché chi siederà a Palacio Quemado imporrà la sua visione in merito alla gestione delle risorse naturali del paese e deciderà se la Bolivia sarà un paese per tutte e tutti o solo per una ristretta minoranza legata agli interessi economici delle multinazionali e degli Usa. Per adesso, quello che è stato definito, a ragione, il golpe del litio, prosegue.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it