Dichiarazione finale dopo l’assemblea “Guerra e Capitale “

Dopo l’assemblea cittadina “Guerra e capitale” sulla Siria e sulla situazione in Nord Africa, pubblichiamo, in questo articolo, un testo conclusivo su questa esperienza.

Come promotori dell’Assemblea pubblica: Guerra e capitale: Tunisia, Egitto, Libia, Siria tra rivolte popolari e guerra imperialista. Verso la guerra imperialista?, riteniamo utile stilare un primo bilancio intorno all’iniziativa promossa. Lo facciamo evitando i trionfalismi di maniera e gli autoincensamenti di routine poiché, per quanto in apparenza possa apparire insensato, riteniamo fondamentale evidenziare, dentro la prassi politica, i limiti che questa evidenzia ed ha evidenziato piuttosto che crogiolarsi in autocelebrazioni le quali, di fatto, lasciano il tempo che trovano. Detto ciò ci sentiamo di affermare che, sotto il profilo quantitativo, l’Assemblea ha ottenuto una discreta riuscita. Un’ottantina di persone, pur a fasi alterne, hanno partecipato ai lavori i quali, tra relazioni e interventi, si sono protratti per oltre tre ore. Catturare l’attenzione di un simile numero di persone per tanto tempo, con relazioni dense e conseguente dibattito in gran parte intenso, non è un risultato sul quale, di solito, si può scommettere a cuor leggero. Una pur modesta dimostrazione di come, il tema della tendenza alla guerra e il legame obiettivo tra questa e la crisi del modo di produzione capitalista, sia qualcosa che inizia a essere percepita a livello di “massa” ancorché già politicamente indirizzata e di come, intorno a questo tema, si inizi a far sentire la necessità della messa a punto di una “linea di condotta” comunista in grado di trasformarsi, da semplice momento di agitazione e propaganda, in direzione politica di massa. Ciò comporta, sin da subito, uno sforzo analitico e organizzativo in grado di offrire strumenti validi e adeguati alla militanza politica a tutto tondo poiché, come è stato giustamente posto in evidenza da un compagno del pubblico, la costruzione di “quadri politici” complessivi rimane la conditio sine qua non per una prassi politica comunista degna di questo nome e all’altezza dei compiti storici che le aspettano. Una urgenza e al contempo un ritardo del quale è obbligatorio non semplicemente prendere atto ma attivarsi per porvi rimedio. Ma torniamo alla sintetica esposizione della giornata. L’aspetto di maggiore interesse fuoriuscito, sia dalle relazioni sia dal dibattito, è stato l’evidenziare la particolarità, rispetto alle precedenti fasi imperialiste, che caratterizza e domina l’imperialismo nella sua fase globale. Ciò che è stata osservata è la macroscopica contraddizione che sostanzia per intero la contemporanea formazione economica e sociale. Mentre nelle precedenti fasi imperialiste, e a maggior ragione nei momenti più acuti delle sue crisi, l’imperialismo agiva, attraverso politiche sociali inclusive, per catturare ai suoi fini quote considerevoli oggi si muove in maniera esattamente opposta. Mentre si profila lo scatenarsi anche militare del conflitto interimperialistico, l’imperialismo è seriamente impegnato a condurre una guerra interna, una vera e propria guerra sociale, contro le proprie classi sociali subalterne le medesime che, in caso di deflagrazione del conflitto, dovrebbero essere chiamate a sostenerne gli oneri maggiori. Se in passato, dentro la crisi, gli Stati imperialisti ponevano all’ordine del giorno la dilatazione e l’estensione dei meccanismi di Welfare oggi, giorno dopo giorno, si prodigano per ridurre e tagliare ogni forma di cittadinanza sociale ascrivendo quote sempre maggiori di popolazione ai mondi della marginalità e dell’esclusione sociale. A differenza del passato, quando per gli Stati imperialisti, il consenso delle masse, che in alcuni contesti arrivava sino a una loro completa “nazionalizzazione”, risultava essere la condizione indispensabile per la messa in forma della guerra, oggi questo è, non solo trascurato, ma del tutto ignorato tanto che, senza enfasi di troppo, è possibile sostenere che, nella fase attuale, il primo fronte di guerra, pur a bassa intensità, dell’imperialismo è rappresentato dal fronte interno e il suo primo nemico sono proprio le masse subalterne incluse entro i propri confini. Una situazione certamente radicalmente nuova e diversa dal passato le cui obiettive opportunità per le politiche comuniste sono, a dir poco, enormi. Oggi, infatti, la tendenza alla guerra si concretizza senza avere alle spalle delle retrovie socialmente stabili e sicure con quote di masse subalterne sempre più estranee e distaccate, anche se solo in forma apatica, agli imperativi e alle necessità delle classi dirigenti. Oggi: Non un soldo, né un uomo per la guerra dei padroni è qualcosa che non ha bisogno di essere propagandato poiché, pur incoscientemente, vive nell’esperienza quotidiana delle masse le quali, proprio dalla “propria” forma statuale, sono poste sotto assedio. Su questa contraddizione, alla quale la fase imperialista attuale non sembra in grado di porre rimedio, deve sapersi attivare il lavoro politico/organizzativo delle avanguardie comuniste. In sintesi, a nostro avviso, questo è uno degli aspetti di maggior interesse usciti nel corso dell’Assemblea. Una volta posto in evidenza questo aspetto passiamo a osservare la diffusa confusione che, occorre registrarlo in maniera impietosa, regna in gran parte delle aree della sinistra radicale e anticapitalista. Confusione che, in parte, si è mostrata anche in non pochi interventi succedutisi alle relazioni introduttive. Intorno a questi aspetti ci sembra opportuno focalizzare l’attenzione non certo per stigmatizzarli bensì per porre in risalto la non secondaria mole di lavoro che occorre fare per “restaurare il marxismo”. In linea di massima almeno uno sembra l’aspetto intorno al quali occorre fare chiarezza. Tema che, per molti versi, registra quanto, tra non pochi compagni e militanti, ciò che ha comportato il post ’89 e l’imporsi della fase imperialista globale non sia stato metabolizzato appieno. Paradigmatico il fatto che, non pochi degli interventi, abbiano focalizzato l’attenzione sulla Siria e il suo regime come se la sua sconfitta fosse la vera posta in palio e non la conseguenza di una condizione oggettiva propria della crisi di sovrapproduzione di merci in cui è precipitato il modo di produzione capitalista il quale, nella guerra, trova l’unico sbocco reale e concreto per venirne a capo attraverso la “classica” triade crisi/guerra/ricostruzione. In tale ottica, allora, la “questione Siria” da alcuni compagni è osservata sotto il profilo “geostrategico” e non strutturale dimenticando che, insieme al mondo bipolare, hanno necessariamente naufragato anche quei Paesi che avevano dato vita al Movimento dei Paesi non Allineati” i quali, proprio in virtù del mondo diviso in due, potevano vantare un certo grado di autonomia politica sulla scena internazionale e, in seconda battuta, essere un possibile punto di riferimento per tutti quei Paesi alle prese con la non semplice transizione da Paese coloniale a Paese postcoloniale. Transizione che, aspetto che viene sovente eluso, è naufragato nel più completo fallimento, almeno in senso socialista, dando vita a regimi forgiati sul familismo, il clientelarismo più becero o, nel migliore dei casi, in regimi borghesi del tutto allineati alle esigenze del comando capitalistico internazionale, FMI in primis. Nel contesto pre- ‘89, egemonizzato dall’imperialismo a dominanza statunitense, ogni conflitto veniva letto, molto prosaicamente, attraverso la classica legge del beduino, secondo cui il nemico del mio nemico non può che diventare il mio amico. Ma, nello scenario attuale, di tutto ciò cosa resta? Non poco, bensì nulla. Oggi a fronteggiarsi sono molteplici campi imperialisti i quali, nel e dentro la guerra, trovano la risposta oggettiva e realistica alla loro crisi sistemica. In ciò, questo il senso della nostra iniziativa, la “novità” che la “questione Siria” può realisticamente rappresentare sulla scena internazionale con tutte le conseguenze e ricadute che, un simile passaggio, comporterebbe anche per le nostre società le quali, da tempo, sono abituate a considerare la guerra e le sue dinamiche come qualcosa non dissimile dall’esotismo. Nei processi di ridefinizione degli assetti imperialistici complessivi è la centralità della guerra – sia quella contro i nemici esterni che quella condotta sul fronte interno contro le proprie popolazioni – il “cuore politico” della fase imperialista contemporanea. In tale scenario non vi sono “buoni” e/o “cattivi” ma solo predoni con i quali, forse, volta per volta occorre anche saper mercanteggiare senza, con questo, coltivare la benché minima illusione di sorta. La riprova di ciò, tema che ha fatto da sottofondo alla nostra iniziativa, è quanto si è prodotto negli ultimi anni dentro gran parte del mondo arabo. Obiettivamente nessuna “forza borghese progressista” si è messa in qualche modo in mostra tanto che, ogni formazione politica subentrata ai precedenti regimi disarcionati dall’iniziativa delle masse, ha dovuto fare i conti con altrettanti movimenti popolari nati con l’obiettivo di rovesciarli. Tutto ciò a dimostrazione di come, le forze popolari e operaie, possano, e vista la composizione di classe di questi Paesi debbano, tessere alleanze di classe con settori sociali non operai e proletari ma possono farlo solo se il potere politico/militare è in gran parte nelle loro mani. Alleanze in chiave dichiaratamente subordinata non possono far altro che portarle al naufragio e alla disfatta. Con ogni probabilità, i retaggi o più realisticamente le illusioni su fronti popolari basati su rapporti di forza paritari, che in molti si portano appresso, non sono altro che il frutto abbondantemente andato a male del “frontismo” e delle sue logiche. Su questo, forse, sarà opportuno lavorare poiché, su questi temi, non è tollerabile confusione di sorta. Infine, aspetto altamente positivo, l’Assemblea si è proposta come obiettivo, da un lato dar vita a una vera e propria campagna di “massa” sul tema della tendenza alla guerra dall’altro formalizzare quanto prima un “gruppo di lavoro”, all’interno di una dimensione politico/organizzativa, in grado di assumersi specificamente la trattazione di queste tematiche. Infine, ma non per ultimo, l’Assemblea si è impegnata a portare il senso di questo dibattito nelle varie articolazioni politiche in cantiere per le mobilitazioni generali del 18 e 19 ottobre.